"""...The Fallen Angel..."""

fanfiction by Amariah

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  1. Amariah
     
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    Premessa:
    Spoiler 4° stagione
    Questa fanfiction si basa sulla storia del mio personaggio femminile preferito, ovvero Anna (che all'inizio della fanfic compare con il nome di Anael) quindi, a chi odia dal profondo del suo cuore Anna non credo che piacerà questa storia. Siete avvisati :D
    Compariranno anche altri angeli, tra cui un Castiel abbastanza freddo (almeno all'inizio). Attenzione: Non è una Cas/Anna story, se tra Anna e Castiel ci sarà amore, sarà un profondo amore fraterno.

    IMPORTANTE
    E' il primo di una serie di capitoli e mi piacerebbe aggiornare la fanfiction senza aprire una nuova discussione. E' possibile? (scusate l'ignoranza, ma tutte le fanfic che ho postato fino adesso erano one shot)

    Vi prego di recensire numerosi! ^_^


    Emotions and Dubits






    Anael era sulla Terra da così tanto tempo che oramai non teneva più il conto dei secoli che erano passati dall’ultima volta che aveva visto la sua casa. Il Paradiso. Era rimasta sul quel pianeta per controllare da vicino gli esseri umani, i prediletti di suo Padre. Aveva studiato loro così da vicino che non poteva non sentirsi invidiosa. Erano così imperfetti, così diversi da lei, da farli sembrare bellissimi ai suoi occhi. Così felici, così speranzosi. Certo, c’erano delle eccezioni: molti non seguivano la retta via e si smarrivano. Ma a loro era perdonato tutto. Lei, invece, doveva svolgere e impartire gli ordini con rigidità, senza chiedersi il perché, senza obiettare se un ordine non le sembrava giusto, altrimenti la punizione sarebbe stata terribile.
    Era seduta su una panchina, con la schiena appoggiata allo schienale. Teneva gli occhi chiusi e pregava i suoi superiori affinché le dessero nuovi ordini. Un improvviso battito d’ali la scosse dal tepore in cui era caduta.
    Aprì gli occhi per vedere suo fratello sedersi di fianco a lei, in una posa rigida e rispettosa. “Anael, sorella, ho fatto ciò che mi hai chiesto”
    Annuì rigida “Molto bene, Castiel. Non ho ancora ricevuto altri ordini, perciò dobbiamo aspettare”
    Anael guardò il proprio riflesso (quello del suo tramite), in una vetrina. La ragazza che stava possedendo aveva lunghi capelli castano chiaro ondulati e grandi occhi verdi. Quello di Castiel, invece, era un uomo sulla trentina, con capelli biondi e occhi di un azzurro molto intenso.
    Anael osservò una giovane coppia passare accanto alla panchina sulla quale erano seduti i due angeli. Il ragazzo teneva per mano la sua compagna e la guardava in modo così affettuoso che sembrava esistesse solo lei. Anael sentì qualcosa crescere all’altezza del suo petto, qualcosa di doloroso, che presto raggiunse i suoi occhi. Perché nessuno dei suoi fratelli, non l’aveva mai fatta sentire così importante? Perché suo Padre non le dava mai dimostrazioni d’affetto? Perché non si era mai mostrato a lei? Non se lo meritava, forse? Aveva fatto tutto quello che le era stato ordinato, dunque perché?
    Erano quelli i pensieri che affollavano la sua mente negli ultimi tempi. All’inizio credeva che fosse solo nostalgia di casa, ma ora non ne era più sicura. E quando mancava la sicurezza, c’era il dubbio.
    Argomento tabù, per quelli come lei. Una sorta di malattia, che doveva essere curata al più presto, altrimenti infettava tutta la loro essenza.
    Ma quel che era peggio era che lei non voleva essere curata. Per quanto le dispiacesse deludere suo Padre, i suoi fratelli e sorelle, voleva provare tutto ciò che a lei non era stato concesso: amore, gioia, ma anche dolore, delusione. Voleva provare tutto questo.
    Per la prima volta nella sua lunghissima vita, provò un lieve bruciore agli occhi e, sulla guancia destra scivolò lenta una singola lacrima. Anael la prese tra le dita sottili e la esaminò, stupefatta. Castiel si alzò in piedi. “Anael, cosa- stai piangendo?!”
    Anael alzò gli occhi verso il fratello, spaventata. “C-credo di sì”
    Castiel si allontanò da lei, quasi disgustato, come se avesse la peste “ Tu- tu provi dei sentimenti, vero?”
    Anael non rispose. “In nome del Cielo, Anael, rispondimi!”
    Oramai l’angelo aveva le guance completamente bagnate e le lacrime scendevano copiose come un fiume in piena. “Sì” confessò, con il cuore che le doleva.
    Castiel la guardò freddo. “Non sei più il mio superiore, e nemmeno mia sorella”.
    Anael sentì qualcosa dentro di sé rompersi e, per la prima volta, provò il dolore. Però, per quanto non le piacesse, si sentì viva per la prima volta. Castiel fece per allontanarsi da lei, ma Anael lo prese per un braccio. “Fratello. Castiel ti prego “
    Ma Castiel scosse la testa. “No. Anael- io non-” E volò via.
    Anael crollò sulla panchina, singhiozzando e gemendo.

    **************************************************************************

    Castiel si sedette su una sedia della vecchia chiesa abbandonata. Era lì che andava, quando aveva più bisogno di suo Padre. “Hai sentito? Anael ci ha traditi”.
    Castiel si voltò. Suo fratello, Uriel, era in piedi, a qualche metro da lui. Castiel sospirò. “Vuole solo tornare a casa, tutto qua”
    “Perché cerchi sempre di difenderla?”
    Castiel non rispose. Era sempre stato legato ad Anael, molto più che ad altri suoi fratelli. Lei lo aveva sempre aiutato, in qualunque situazione. Si prendeva cura dei suoi sottoposti e li trattava come fossero suoi pari. Non come certi altri suoi fratelli. Lui l’aveva sempre considerata un ottimo capo.
    “Comunque, Zachariah mi ha appena contattato. Lui riporterà Anael a casa e noi dobbiamo seguirlo. Torniamo a casa”.
    Castiel si alzò mentre Uriel scompariva. Sospirò, ripensando a suo fratello Zachariah, forse uno degli angeli meno pazienti e caritatevoli del Creato.
    “Lui riporterà Anael a casa”.
    Temendo il peggio, abbandonò il suo tramite per ritornare in Paradiso.




    Ecco qua. Cosa ne pensate?

    Edited by Amariah - 30/10/2009, 19:22
     
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  2. Vanity_Homunculus
     
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    Molto molto carina, nella sua drammaticità ^_^ per lo meno in Supernatural gli angeli, non sono le creature caritatevoli che vengono sempre descritte nel Vangelo.
     
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  3. eli*dreamer
     
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    Mi piace, scritta molto bene come sempre...e anche l'idea è bella...complimenti!
     
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  4. Amariah
     
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    Grazie mille, siete gentilissimi.

    Ma... allora per postare il seguito posso continuare in questa discussione???
     
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  5. eli*dreamer
     
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    io non sono ne mod ne niente, ma si...puoi postare sempre qui...
     
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  6. Amariah
     
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    Premessa:
    Ecco il secondo capitolo. Buon divertimento!


    The Fall


    Anael sentiva molte voci intorno a se: erano le voci infuriate dei suoi fratelli e sorelle.
    “ci hai traditi, Anael”
    “No, io-“ cercò di dire l’angelo.
    “Non negare. Percepiamo quello che provi, i tuoi sentimenti”
    “Vi p-prego, no”
    “I tuoi dubbi”
    “Io non ho fatto del male a nessuno”
    “Non sei degna del nome che porti. Non sei degna di essere una di noi. Sarai punita duramente per la tua disobbedienza”
    “Ma io non ho disobbedito. Ho solo-”
    “Desiderato di essere umana. L’invidia, Anael, è il peccato di cui sei accusata”.
    “Per favore-“
    “Silenzio”. Tuonò Zachariah. “Abbi almeno un po’ di dignità. Sei pronta per la tua penitenza, Anael?”.
    Vedendosi braccata dai suoi stessi fratelli, Anael scappò, allontanandosi il più possibile da loro. Poi si fermò, voltandosi. “Se non sono più una di voi, sarò una di loro!” e si portò una mano sulla sua Grazia.
    Castiel, l’angelo che la raggiunse per primo, rimase sconvolto a quella vista. Non credeva che Anael, il suo superiore, il suo mentore, la sua più fidata sorella, si sarebbe spinta fino a quel punto. “Padre, perdonami!” la sentì gridare.
    “ ANAEL! NO!!!”
    Ma l’angelo aveva stretto la sua Grazia e, con un violento strattone, se la strappò via.
    Anael urlò così forte che tutti gli angeli tremarono, percependo il suo dolore; poi, sempre più velocemente, cominciò a cadere, lasciando una scia luminosa dietro di se, come una stella cadente. Lacrime di dolore, sia fisico che psicologico, si perdevano nel cielo come minuscole stelle. Anael ripensò alle battaglie a cui aveva partecipato, alla sua lunghissima vita in Paradiso, agli ordini a cui era stata costretta ad obbedire e alla scelta che aveva compiuto. Si ritrovò a pensare a Lucifer, il fratello che aveva ripudiato, molto tempo prima. Con orrore si rese conto che, per quanto le loro scelte erano state differenti, avevano portato ad una simile conclusione. Poi ripensò agli esseri umani di cui si era occupata per così tanto tempo, ai sentimenti che aveva imparato a provare e a distinguere. Stupefatta dalla consapevolezza di conoscere meglio gli umani rispetto ai suoi fratelli, Anael provò un minimo di sicurezza.
    Vide la terra avvicinarsi sempre di più e chiuse gli occhi aspettando di sentire l’impatto con il suolo. Quando questo avvenne aveva le labbra curvate in un lieve sorriso.

    **************************************************************************

    Amy Milton quella mattina si svegliò tranquillamente, avvolta da un grande senso di pace. Aveva fatto uno strano sogno, di cui ricordava solo l’ambiente: era immersa in una strana luce dorata, nella quale galleggiava. Era da un mese che faceva sogni simili ed era più rilassata che mai.
    Suo marito, Rich era già andato al lavoro in chiesa (era un diacono) e sua sorella Frances quel giorno non sarebbe passata a trovarla, quindi non c’era motivo di alzarsi presto. Lentamente si girò verso il comodino e prese la foto che ritraeva lei e Rich davanti alla chiesa nella quale si erano sposati cinque anni prima. Erano una coppia molto felice, ma entrambi sentivano la mancanza di qualcosa: Amy non poteva avere figli. Il ginecologo le aveva detto che si trattava di una piccola malformazione dell’utero, nulla di cui preoccuparsi, ma Amy ci era rimasta malissimo e così anche Rich, anche se non lo mostrava. Avere un figlio era sempre stato il loro più grande desiderio e non c’era speranza di farlo avverare.
    Ripensando all’ultimo mese, Amy si rese conto che aveva un ritardo di una settimana. Così quella mattina andò in farmacia e comprò dei test di gravidanza, tanto per essere sicura. Mentre aspettava che i test le rivelassero il risultato, cercava di combattere contro la paura di un tumore o qualcosa del genere, ma cercava anche di non darsi false speranze. Era umanamente impossibile che fosse incinta, a causa di quella piccolissima malformazione.
    Con le mani tremanti, controllò i test e per quello che vide il suo cuore saltò un battito. Erano positivi. Tutti.
    “Sono tornato”. Sentì Rich entrare in casa, sbattendo la porta. Come avrebbe preso la notizia?
    “Amy?”
    La donna scese le scale lentamente, come se avesse paura che il bambino potesse scomparire ad ogni suo minimo movimento.
    “Amy, tesoro, cosa c’è?”
    “Rich, s-sono incinta”
    Rich spalancò la bocca per lo stupore. “C-cosa?”
    “Richy, aspetto un bamb-“
    Rich corse da lei e l’abbracciò stretta “o mio Dio!!!” gridò, sollevandola da terra.
    “Rich, mi stai soffocando” rise Amy. Il marito la posò a terra delicatamente.
    “E’ un miracolo!”
    “Sì, Rich, il nostro piccolo miracolo” disse Amy, piangendo lacrime di gioia e accarezzandosi il grembo ancora piatto, incurante del fatto che un piccolo angelo caduto stava cominciando la sua nuova vita dentro di lei.
     
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    CITAZIONE (Amariah @ 30/10/2009, 19:17)
    Grazie mille, siete gentilissimi.

    Ma... allora per postare il seguito posso continuare in questa discussione???

    sisi...tranqui ^^
     
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    Perfection

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    Molto bella, come anche le immagini messe.
     
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  9. eli*dreamer
     
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    bellissimo questo secondo capitolo, complimenti!
     
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  10. Amariah
     
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    Grazie a tutti

     
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  11. Amariah
     
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    Premessa:
    CE LO FATTA! Scusate il ritardo! ^_^
    Spero proprio che vi piaccia perchè ce l'ho messa tutta per scrivere questo capitolo.




    Rebirth



    Amy era distesa sul divano con la schiena appoggiata contro i cuscini. Era al nono mese di gravidanza e il suo piccolo miracolo poteva venire alla luce da un momento all’altro.
    Rich raggiunse sua moglie con una tazza di cioccolata calda. “Ecco, tieni” disse porgendole la bevanda.
    “ Grazie”
    Ami si accarezzò il ventre gonfio. “ Allora, si muove il piccolo Matthew?”
    Amy sorrise. “Per quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere Madeline”.
    “Giusto”.
    Non avevano voluto sapere il sesso del bambino, dato che desideravano scoprirlo alla “vecchia maniera”. Così dopo una lunga selezione, avevano scelto due nomi: Matthew se fosse stato un maschietto o Madeline, nel caso di una femmina.
    “Comunque sì. Non mi dà pace. I dottori dicono che è forte, per un bambino così piccolo. Meglio così…”
    “La piccola Maddy o il piccolo Matt sarà sano come un pesce, fidati”.
    “M’ immagino già quando imparerà a camminare: dovremmo rincorrerlo per tutto il cortile” disse Amy, pensierosa.
    “Sarai una madre stupenda, Amy”
    “Grazie Rich”.
    L’uomo si alzò dal divano e aiutò Amy a fare altrettanto. “Forza. Andiamo o dormire”.
    E insieme salirono in camera da letto.


    Amy si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Aveva il respiro affannoso e si sentiva appiccicosa. Sollevò la coperta e vide che aveva bagnato il letto. “R-Rich, credo c-che ci siamo”.
    Rich spalancò gli occhi e saltò a sedere come una molla.
    “Oh Cielo” Disse. Si era preparato mentalmente per quella situazione, ma in quel momento si rese conto di aver dimenticato ogni cosa. “La macchina. T-ti porto all’ospedale”.
    E, il più velocemente possibile, scesero le scale e percorsero il vialetto fino alla macchina. Rich aprì la portiera e aiutò Amy ad entrare nella vettura poi, con il cuore che batteva a mille, mise in moto.
    L’ospedale distava quindici minuti dalla loro abitazione, ma in quel frangente, sembrava che il tempo si fosse fermato. Con un gemito, Amy strinse l’orlo della camicia da notte bagnata tanto forte da farsi sbiancare le nocche. Poi, il suo sguardo cadde sul sedile. “Oh mio Dio. Rich!”
    Il marito, con la fronte imperlata dal sudore, seguì il suo sguardo e sbiancò completamente. Il sedile grigio della sua vecchia Ford era coperto di sangue. Troppo sangue.
    “Rich, c’è qualcosa che non va, ho-“. Amy perse conoscenza.
    “AMY!!!” Rich premette l’acceleratore, mormorando tra i denti una preghiera.
    Arrivato all’ospedale urlò chiedendo aiuto e aiutò il personale medico a sistemare sua moglie su una barella. Poi un dottore lo prese per un braccio, allontanandolo dalla sua famiglia. “Non può entrare con lei. La situazione è grave. Aspetti fuori”. Rich respirò a fondo per controllare la paura. “c-c’è una cappella?”
    Il dottore lo osservò addolorato. “Prosegua per quel corridoio. L’ultima porta a sinistra”.
    Rich raggiunse la stanza descritta e si lasciò cadere su una panca. La cappella era deserta e silenziosa. Rich si osservò le mani, ancora coperte del sangue di sua moglie. Piangendo, si mise a pregare.“ Ti prego Dio, non richiamare a te la mia famiglia, ti supplico, non dopo il dono che ci hai concesso.” Prese un fazzoletto e si asciugò il sangue che aveva sulle mani.
    Spostò lo sguardo alla sua sinistra e sobbalzò, vedendo un uomo seduto accanto a lui. Teneva gli occhi chiusi, ma aveva i muscoli tesi. Sembrava combattuto.
    “ Salve” salutò Rich. Voleva sfogarsi con qualcuno e magari, aiutando quell’ uomo, si sarebbe calmato almeno un po’.
    Lo sconosciuto aprì lentamente gli occhi e lo fissò. Aveva il volto privo di espressione, ma con due profondi occhi celesti. Accennò ad un saluto con il capo.
    “Le sue preghiere verranno ascoltate” disse con una voce profonda, calma.
    Rich strabuzzò gli occhi. Cosa?
    L’uomo continuò a guardarlo, sempre con una mimica facciale praticamente neutra.
    “Dio ascolta tutte le preghiere, anche se a volte non le esaudisce, per un bene superiore”.
    Rich rimase colpito dal suo tono. Sembrava che conoscesse bene l’argomento di cui stava parlando.
    “Lei è un diacono?” chiese, incuriosito.
    L’uomo scosse la testa. “Non proprio”.
    “Come mai è qui? “ chiese Rich.
    “Mia sorella. E’ caduta”.
    Rich s’immaginò il come. Che fosse rotolata da una rampa di scale?
    “Può non farcela”. Continuò l’uomo.
    “Mi dispiace” lo confortò Rich. L’uomo scrollò le spalle. “Non dovrei neanche essere qui” mormorò l’uomo.
    Più tempo passava con quell’uomo, più il suo sconforto aumentava. “Non dovresti stare vicino a tua sorella? Perchè?”
    “La mia famiglia non vuole che stia con lei, non vuole che io la segua, per un errore che lei ha fatto non molto tempo fa”.
    Rich annuì. Erano molti i ragazzi che alla chiesa si rivolgevano a lui per parlare di distacchi familiari. “Mia moglie, invece, sta per avere un bambino, ma qualcosa è andato storto. Rischiano di morire tutte e due”.
    L’uomo non dette segni di compassione, la sua espressione rimase neutra, ma si spostò di poco verso Rich.
    “Dovresti perdonare tua sorella”.
    L’uomo si alzò in piedi e si allontanò di un passo. “Il perdono non è concesso a quelli come me e mia sorella, Richard Milton”.
    Rich si voltò di scatto per chiedere all’uomo come sapesse il suo nome, ma quello era sparito.
    Sospirando, si rivolse verso il crocefisso e ricominciò a pregare.



    “Signor Milton, si svegli”.
    Rich aprì gli occhi, accorgendosi si essersi addormentato sulla panca della cappella. Una dottoressa era accanto al lui, con aria gioviale. “Mia moglie?”
    “Sia lei che sua figlia stanno bene.Venga, la porto da loro”.
    Rich la seguì per i corridoi dell’ospedale. “Sua figlia è straordinaria, signor Milton” disse, contenta. “Quando nata non ha nemmeno pianto, ha respirato subito da sola, a pieni polmoni. Aveva gli occhi spalancati e sembrava quasi che ci vedesse”.
    Rich aveva il cuore colmo di gioia. “E mia moglie?”
    “Sta bene. Si è appena svegliata anche lei, abbiamo dovuto far nascere la piccola con il cesareo: a dir la verità è stata un’operazione piuttosto delicata. Le abbiamo consigliato di riposare ancora un po’, ma lei ha voluto subito vedere sua figlia”.
    La dottoressa condusse Rich in una stanza dipinta di rosa confetto. Sua moglie era sdraiata su un letto, tenendo un fagottino minuscolo fra le braccia e appena vide Rich, gli fece segno di avvicinarsi. L’uomo, in trance, mosse le gambe fino a raggiungere il letto. La piccola Madeline aveva enormi occhi scuri, spalancati sul mondo. Quando Rich le accarezzò una guancia con le dita tremanti lei lo fissò con un’intensità quasi inumana e stinse le sue dita con una manina calda.
    “ Benvenuta, Maddy”. Amy scosse la testa.
    “Anna” lo corresse la moglie.
    “Come?”
    Amy sospirò. “Scusa, Rich. So che avevamo già scelto i nomi, ma appena l’ho vista mi è venuto in mente di chiamarla così. Ti dispiace?”
    Rich guardò la figlia che stringeva le sue dita e poi la moglie, che aspettava dubbiosa la sua risposta.
    “Penso che sia perfetto. Anna significa “Grazia di Dio”, e Dio ha già compiuto due benedizioni su questa bimba”.
    Amy gli regalò un enorme sorriso e Rich abbassò lo sguardo verso il loro piccolo miracolo.
    “Ciao, Anna”.
    Nessuno dei due si accorse dell’uomo dai penetranti occhi azzurri e dai capelli biondi che osservava la scena dalla porta spalancata.
    La neonata, invece, si voltò verso di lui, facendo una smorfia con la sua piccola bocca sdentata ed emettendo un verso che accennava al pianto, come se potesse vedere e capire chi fosse.
    “Anna” sorrise alla somiglianza del nome della bambina con quello che sua sorella aveva un tempo. “Ci rivedremo, sorella”.
    L’uomo si voltò verso il corridoio e svanì con un singolo battito d’ali.




    P.S Ho cercato di immaginarmi lo sguardo di Baby!Anna come quello della piccola Renesmee di Twilight (morsi a parte :D ): Un piccolo tributo a Twilight. :D
     
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  12. eli*dreamer
     
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    bellissimo capitolo...mi sembra proprio di vedere scorrere le immagini davanti ai miei occhi talmente è scritto bene!
     
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  13. Amariah
     
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    Premessa:
    Ecco qua il quarto capitolo. Buon divertimento.
    Vi prego di recensire numerosi. :D



    He will kill me


    Erano passati due anni e mezzo da quando il piccolo miracolo dei Milton era venuto alla luce. Anna era una bambina bellissima, con occhioni profondi e i boccoli castano chiaro. Era molto seria, per una bambina della sua età: i suoi occhi penetranti celavano un certo timore e saggezza, decisamente troppa. Eppure, pensava Rich, era cresciuta come una bambina normale.
    Non aveva mai fatto disperare troppo lui o Amy ed era una bambina tranquilla, per quanto potesse essere tranquilla una bimba di quasi tre anni.
    Tuttavia, era da un po’ di tempo che quando le si avvicinava, la figlia irrigidiva le piccole spalle e sfuggiva al suo tocco ogni volta che l’accarezzava. Non lo avrebbe mai ammesso davanti ad Amy, ma il comportamento di Anna lo faceva star male. Non le aveva mai fatto niente di male e le aveva sempre dato tutto l’amore che un padre poteva dare alla sua unica figlia.
    Un’altra cosa che lo sconcertava era la proprietà di linguaggio della piccola Anna: la bambina parlava benissimo e con un lessico avanzato, che lasciava di stucco tutti coloro a cui lei rivolgeva la parola.
    Un giorno Rich si avvicinò alla figlia, la quale stava disegnando sul tavolo della cucina: il disegno ritraeva un uomo con delle enormi ali grigie che emanavano una potente luce.

    “Ciao tesoro” salutò Rich “Che bel disegno. Chi è?”

    “Castiel” rispose semplicemente la piccola.
    Rich sobbalzò. Spesso sentiva Amy raccontarle storie sugli angeli, ma era certo che non le avesse mai raccontato dell’angelo Castiel. Come faceva a conoscere quel nome?”

    “Come mai è triste?” disse indicando l’espressione tormentata dell’angelo ritratto.
    Anna si strinse nelle spalle e assunse un’aria colpevole. “Sua sorella ha disobbedito ed è caduta” disse con le lacrime agli occhi. “E quast’altro è Uriel, suo fratello” disse indicando un altro angelo, con un’espressione inferocita.

    Scosso, Rich si allontanò da Anna ed entrò in salotto per parlare con sua moglie “Amy, c’è qualcosa che non va”
    “Cosa, tesoro?” chiese, piegando una coperta.
    Rich esitò. “E’ Anna. C’è qualcosa che non va in lei”
    Amy lo guardò, stupefatta. “Rich, per l’amor del Cielo è una bambina, è tua figlia. Come puoi dire una cosa del genere?!”
    Rich alzò le mani, facendole segno di abbassare la voce. “Non sto dicendo che sia pazza, Amy. Non lo direi mai. Lo sai quanto l’amo, quanto noi l’amiamo. Ma anche tu devi averlo notato, è-“
    “E’ una bambina molto intelligente, come ha detto il pediatra. Non c’è niente che non vada in lei, è solo-“

    “Cosa? Cosa sono?”
    Rich ed Amy sobbalzarono, girandosi verso la figlioletta. Anna era in piedi in mezzo al corridoio, con le guance bagnate dalle lacrime che sgorgavano da quegli occhi penetranti. Stringeva tra le braccia l’orsacchiotto che sua zia Frances le aveva regalato una settimana prima.
    Amy scoccò un’occhiata ammonitrice a Rich e sorrise alla figlia. “Niente, Anna. Sei una bambina bellissima, tutto qua”.
    “Non mentirmi”. Lo sguardo di Anna era freddo e duro come il ghiaccio. Dai suoi occhi trasparivano rabbia dolore e anche una punta di tradimento.

    “Non mi vuoi bene?” chiese, con il labbro inferiore che le tremava.
    “Cos-, Anna, ma cosa stai dicendo, certo che ti vogliamo bene sei nostra figlia” disse Rich, inginocchiandosi di fronte alla figlia.
    Annie lo guardò, con gli occhi sgranati, come se fosse stata colpita all’improvviso da una nuova e terribile scoperta. “No”
    Rich guardò perplesso Amy, e poi di nuovo Anna. “Come?” chiese.

    “Non sei mio padre”

    Quell’ affermazione penetrò come un pugnale gelato nel cuore di Richard. La sua bambina, il suo miracolo, rifiutava la sua figura paterna. Non riusciva a capacitarsene: facendosi un esame di coscienza, si chiese che cosa avesse sbagliato, cosa avrebbe dovuto fare e cosa non. Fu tutto inutile. Non riuscì a trovare la colpa, da parte sua, dello strano comportamento della figlia.
    “Annie, tesoro, cosa stai dicendo” disse piano Amy “certo che è tuo p-“

    “NO! NO! NO! LUI NON E’ MIO PADRE! IL MIO VERO PADRE E’ ARRABBIATO CON ME! MI ODIA! MI ODIA COSì TANTO CHE MI VUOLE MORTA”

    La piccola Anna sembrava isterica. Lasciando cadere l’orsacchiotto che le piaceva tanto, si prese la testa tra le mani e, tirandosi i capelli, si lasciò scivolare a terra. I coniugi Milton, troppo presi dalla reazione isterica, della figlia, non notarono che la luce delle lampadine del salotto si affievolì e ritornò normale, illuminando la stanza ad intermittenza.

    “MORTA! MORTA! MI UCCIDERA’! MIO PADRE MI UCCIDERA’! E’ ARRABBIATO CON ME, E HA RAGIONE! MI TROVERA’ E MI UCCIDERA’ ”.

    Amy e Rich, inizialmente troppo scossi per reagire, si avvicinarono cauti alla figlia per tranquillizzarla. A quel punto, il suo piccolo corpo era scosso da tremiti incontrollabili, e non riusciva a smettere di piangere e gridare. Al piano di sopra, alcune lampadine si fulminarono ed esplosero con violenza. La porta dell’ingresso, già serrata, venne ciusa a chiave da una forza invisibile.

    “ HO PAURA! NON VOGLIO CHE MI UCCIDA! NON VOGLIO! OH, E’ COSì ARRABBIATO! MI UCCIDERA’ “

    “Anna, tesoro, sono la mamma. Ti prego, non fare così. Troveremo una soluzione insieme. Ti proteggeremo, ma per favore smetti di gridare” implorò Amy, con voce flebile.
    Anna a quelle parole si tranquillizzò. Guardò entrambi i genitori, con una luce speranzosa negli occhi e disse, scossa da gemiti “M-mi proteggerete? Mi nsconderete da Lui?”

    “Certo” disse Amy, sapendo che quello era l’unico modo per calmare la figlia. “ Certo che ti proteggeremo, Anna. Noi ti vogliamo bene, tesoro”.
    Anna immerse il viso nella lunga gonna di Amy per tranquillizzare gli ultimi tremiti.




    “Dobbiamo proprio, Rich?” chiese Amy, con voce tremante, come se stesse per piangere.
    “Amy, ne abbiamo già parlato. E doloroso anche per me, ma è l’unico modo per curare Anna”.
    “Okay, ma non voglio che stia via di casa. Se dicono che deve rimanere in ospedale, annuliamo tutto” disse Amy con decisione.
    “Ma certo, cara”. Accettò Rich.




    “Dove andiamo?” chiese la piccola Anna, mentre la madre le infilava il cappottino rosso.
    “ In un posto dove possono aiutarti, tesoro”
    Anna sembrò duubbiosa. “Aiutarmi per cosa? Per nascondermi dal mio vero padre?” Amy sussultò.
    “Qualcosa del genere” rispose Amy, indecisa su come comportarsi.
    Anna le accarezzò una guancia ed Amy sgranò gli occhi dalla sorpresa: era da molto che Anna non cercava contatti fisici come quello. “Grazie, Amy, per tutto uello che stai facendo per me”.

    Con il cuore gonfio di colpa, Amy e Rich portarono Anna in uno strano edificio, dove tutte le pareti erano dipinte di bianco.
    Ad Anna era sempre piaciuto quel colore, così puro, così semplice.
    Una donna con i capelli legati in uno chignon stretto si avvicinò ai Milton. Indossava un camice bianco, al quale era appiccicato un cartellino che identificava la donna come Ludmilla Kostner.
    “Buongiorno, signori Milton. Questa deve essere la piccola Anna”.
    Anna si nascose dietro l’impermeabile della madre.
    “Non avere paura, piccolina. Ti piace disegnare”.
    Anna annuì, prendendo un po’ di coraggio. “Sì. Mi piace tanto”.
    La donna, Ludmilla, sorrise cordiale. “Ho tante belle matite colorate in quella stanza. Ti va di colorare un po’ con me, mentre i tuoi genitori fanno delle commissioni?”
    Anna guardò Amy, titubante. La madre le rivolse un sorriso di incoraggiamento e la piccola annuì di nuovo.
    “Bene” disse la dottoressa “Vedrai, ci divertiremo insieme” e guidò Anna all’interno della stanza, chiudendosi la porta alle spalle.




    Al prossimo capitolo!!! :bye:

    Edited by Amariah - 5/11/2009, 21:41
     
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  14. eli*dreamer
     
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    bellissimo questo capitolo....poverina la piccola anna *-*
     
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  15. ehdhiuauhi
     
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    buona sera,come fai a scrivere ed inventare storie,con i personaggi di supernatural,io non ci riuscirei mai! Apparte che ho solo 10 anni. ^_^
     
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36 replies since 30/10/2009, 16:44   390 views
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