I Magnifici Sette

racconto by Hunter92

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  1. Hunter 92
     
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    Mhm mhm
    Ho usato il termine racconto perché non sono troppo sicuro che questa mia opera la si possa definire esattamente una Fanfiction.
    Riguarda Supernatural, ma cambia completamente il contesto, l'ambientazione e soprattutto i personaggi. Praticamente, di Supernatural non prende assolutamente nulla.
    Perché allora dico che riguarda Supernatural?
    Perché da Supernatural trae il tema principale, nonché mio aspetto preferito della serie: la Caccia.
    Per farla breve, credo si possa dire questo: I Magnifici Sette è Supernatural ambientato in Irlanda.
    Perché l'Irlanda? Perché trovo che per sua natura l'Irlanda sia l'ambientazione ideale per supernatural: oltre a piovere sempre, fatto d'indubbia atmosfera, ha un bagaglio di superstizioni e tradizioni impressionanti. L'effetto finale credo sia un più "gotico" che "urban legend", ma lo apprezzo comunque.
    Spero che voi farete altrettanto.

    Questa è solamente la parte prima. Se il post sopravviverà una settimana senza essere cancellato, credo ne aggiungerò delle altre.
    Have fun :)

    Al buio, sotto la pioggia

    Un vento freddo si andava alzando da est, portando nubi cariche di pioggia e fulmini. Le fronde degli alberi lungo la strada stormivano, i rami ondeggiavano paurosamente: ogni pochi secondi ne cadeva qualcuno sul selciato o, nel peggiore dei casi, sull’auto che procedeva lungo la strada. Era un pick-up, di modello e colore indefinibili, immerso com’era nell’oscurità totale quasi totale. Anzi, sarebbe stato del tutto invisibile, se non fosse stato per le due lame di luce dei fari che lo precedevano, seguendo le svolte del percorso costeggiato dagli alberi.
    Ben presto, iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. Crebbero rapidamente in dimensione ed intensità, tanto da rendere pressoché inutili i tergicristallo, che pure andavano al massimo della velocità. Di tanto in tanto, un fulmine dardeggiava sopra le colline, in lontananza, seguito immancabilmente dal cupo rimbombo di un tuono. Nonostante le notevoli dimensioni, l’auto iniziò a sbandare leggermente verso sinistra sotto l’impetuosa spinta del vento.
    In una simile situazione, era ben facile lasciarsi suggestionare dall’atmosfera.
    Fortunatamente, dietro al volante sedeva una persona che, per via del suo lavoro, non era abituata a lasciarsi impressionare. Da niente e nessuno.
    Certo, ad una prima occhiata, non le si sarebbe dato un mezzo centesimo. Era una donna bassa, di corporatura minuta, dal viso grazioso, sebbene percorso da dai segni tipici di chi deve reggere da solo grandi responsabilità, rilassato in un’espressione che non lasciava trasparire alcuna emozione, se non una profonda noia. Una frangia dei lunghi capelli rossi, cadendo sul viso, le copriva l’occhi destro, ma la cosa non sembrava darle fastidio, come neppure le condizioni atmosferiche. Guidava rilassata, appoggiata comodamente allo schienale, come se stesse facendo un semplice giro turistico lungo le sponde dello Shannon, in un’assolata domenica di Giugno.
    Del resto, aveva affrontato ben di peggio, assieme con la sua macchina.
    “Stai tranquillo – disse in tono neutro – siamo quasi arrivati.”
    Il suo compagno di viaggio si lasciò sfuggire un grugnito a mo’ di risposta. Era un uomo giovane, alto, dai capelli scuri e gli occhi castani, la mascella ricoperta da una barba incolta di un paio di giorni. Non fece alcun commento, né si mosse. Rimase semplicemente seduto lì, come aveva fatto per tutto il resto del viaggio, al posto del passeggero, con la fronte appoggiata al vetro, totalmente indifferente sia nei confronti del tempo, sia della splendida donna al suo fianco.
    Lei, che pure, fino ad allora, lo aveva completamente ignorato, tornò a concentrarsi sulla guida. Aveva già fatto quella strada, più volte di quanto non avrebbe voluto, eppure non le riusciva mai di abituarsi alla tremenda sensazione di abbandono e solitudine che provava ogni volta. E quella volta era persino peggio: doveva sforzarsi di non lasciare che nemmeno un’emozione trasparisse dalla sua espressione. Non le piaceva mostrarsi vulnerabile, neanche con gli altri, i suoi compagni, figurarsi con quel ragazzino che aveva deciso, rimpiangendolo, di portarsi dietro.
    Neanche lei disse nulla, intenta com’era a tenere il mezzo in carreggiata e a non tradirsi.
    “È molto solitario, intorno ai campi di Athenry.”
    La donna scoccò una rapida occhiata all’altro. Non l’aveva degnata d’uno sguardo.
    Evidentemente, quel posto faceva la stessa impressione anche a lui.
    Una cosa che avevano in comune.
    Quello che poteva essere un sorriso dardeggiò sul suo volto.
    “Già – rispose – è molto solitario, intorno ai campi di Athenry.”
    Dopo questo accenno di conversazione, i due ricaddero nello stesso silenzio carico di insofferenza di pochi minuti prima.
    L’unico rumore che si udiva, dentro all’abitacolo, era l’ossessivo ticchettio della pioggia che batteva sul tettuccio. Il vento era calato in intensità, ma ogni tanto riprendeva con violente raffiche, e il suo basso sibilo cresceva, trasformandosi in un acuto ululato. Pareva quasi un grido umano, carico di terrore e di disperazione, proveniente da qualche parte, lontano, nel buio oltre i finestrini.
    L’autista si agitò sul suo sedile, insofferente. Quel suono le faceva venire la pelle d’oca, ma non era disposta ad apparire debole di fronte al suo passeggero, nemmeno per quella reazione puramente involontaria. Notò, non senza un certo piacere, che anche l’uomo sembrava infastidito. Per non dire spaventato. Aveva raddrizzato le spalle, ora sedeva composto, vigile, lanciando ogni tanto occhiate ansiose allo specchietto retrovisore.
    Lei si ricordò di cosa avesse passato negli ultimi giorni, della creatura da cui l’aveva salvato.
    Non poté fare a meno di provare un po’ compassione.
    “Non preoccuparti – gli disse con fare rassicurante – è morta. Non ritornerà più.”
    Lui ebbe un moto di stizza. La guardò storto.
    “Lo so bene che quella cosa è morta. E non sono preoccupato.”
    “Buon per te.” sbottò lei.
    Tornarono ad ignorarsi a vicenda, con ostilità e irritazione.
    La donna si scostò bruscamente i capelli da davanti l’occhio.
    “Comunque è normale, all’inizio. Ci farai l’abitudine, prima o poi.”
    L’uomo fece come se non l’avesse sentita.
    Dal muro d’acqua e d’oscurità di fronte a loro, come per miracolo, apparve un rettangolo di luce, a malapena visibile. Sembrava una finestra illuminata da una lampada, ma da quella distanza non si poteva esserne certi.
    L’auto accelerò un poco.
    La meta era vicina.
    Dopo non molto la strada si fece più larga di fronte a loro. Gli alberi dapprima si diradarono, poi scomparvero del tutto. Si ritrovarono così in uno spiazzo rettangolare di terra battuta che, visto il tempo, ben presto si sarebbe ridotto a poco più che una pozzanghera fangosa.
    Oltre il bordo di uno dei bordi più lunghi, proprio di fronte a loro, c’era una casa.
    Era una struttura imponente, di pietra grigia, alta almeno due piani, sebbene fosse difficile capirlo in base alla piccola porzione illuminata dai fari. Sembrava una vecchia fattoria, forse antecedente alla Guerra Civile.
    Senz’altro, a quell’ora della notte, con il tempo che c’era, rappresentava un rifugio accogliente.
    Ma pure inquietante.
    Forse era solo suggestione, ma risultava difficile, in quel momento, osservarla senza provare un sentimento di soggezione, quasi timore reverenziale.
    L’uomo al posto del passeggero si rese conto di stare trattenendo il respiro.
    Cercò di rilassarsi. Non era un’impresa facile.
    Per lui era tutto così assurdo: il viaggio intrapreso con quella donna misteriosa che solo qualche giorno prima gli aveva salvato la vita, quella riunione nel cuore della notte cui, quanto pareva, non si poteva mancare.
    Provò a pensare ad altro. Sapeva che, se avesse continuato così, gli sarebbero tornati alla mente la sua famiglia, i suoi amici, la sua città...
    L’auto fece un’ampia curva.
    L’autista andò a posteggiare in un angolo di quella specie di parcheggio improvvisato. Quando spense il motore e i fari le tenebre li avvolsero. Del mondo oltre l’abitacolo, tutto ciò che riuscivano a scorgere era la finestra illuminata, appena sopra il livello del terreno.
    “Siamo arrivati.” annunciò la donna senza tradire alcuna emozione.
    “Bene. Dove, esattamente?” le domandò l’altro con fare insolente.
    Lei si voltò, ma al buio non si riusciva a capire l’espressione che aveva in volto.
    Quando parlò, però, nella sua voce poteva essere letta una lieve nota di rimpianto.
    “Questo è il rifugio di quelli come me. Il solo posto che noi possiamo ancora chiamare casa.”
    “Perché mi hai portato qua?”
    “Per farti vedere cosa accade a quelli che hanno compiuto la tua stessa scelta. E anche perché sono attesa.”
    “Capisco...”
    “Non è vero. Ma lo farai molto presto.”
    Accese la luce interna, aprì il cassetto del cruscotto e ne tirò fuori una piccola torcia.
    Un cerchio di luce scivolò sul muro di fronte a loro oltre il parabrezza.
    “La porta è oltre quell’angolo.” spiegò, illuminando il bordo della parete, una decina di metri alla loro destra. “Io tengo la luce. Tu seguimi.”
    “Consideralo fatto.”
    “Ah, un’altra cosa – aggiunse spegnendo la luce interna – mi dispiace, non ho un ombrello.”
    Detto questo, tirò su il cappuccio del suo giubbotto verde, non senza esibire un sorriso che poteva essere un ghigno, aprì la portiera e scese dall’auto.
    “Non importa – mormorò l’altro sottovoce – non importa più niente.”
    Appena mise la testa fuori, la pioggia gelata gli crollò addosso con l’impeto di un maglio. Dopo pochi secondi i suoi capelli, come il suo giaccone di pelle, furono letteralmente zuppi.
    Il freddo gli penetrò fin nelle ossa, ma lui si costrinse ad ignorarlo. Non poteva sentire nulla, se non la pioggia scrosciante e il ritmico ululare del vento, né vedere alcunché, tranne la luce della torcia retta dalla sua compagna.
    Quando questa si mosse, lui fu costretto a seguirla, per non perdere il solo punto di riferimento in quell’umida oscurità. Il terreno sotto i suoi stivali era morbido. Calcolò che gli sarebbero rimaste attaccate alle suole almeno tre dita di fango.
    Ignorò anche questa.
    Camminava a fatica, le scarpe affondavano di qualche centimetro. I brividi di freddo lo assalivano ogni pochi secondi.
    Promise a se stesso che, in ogni caso, non si sarebbe lamentato. Non con lei.
    Per distrarsi, provò ad indovinare la natura degli oggetti che lo circondavano in base ai contorni sfocati che apparivano nell’alone della luce della torcia. Dedusse che, oltre a quella con cui erano arrivati là, ci dovessero essere almeno altre tre o quattro auto. Sull’identità dei partecipanti a quella riunione poteva fare unicamente delle congetture. Ma, vista la sua compagna di viaggio, dovevano essere dei tipi fuori dal comune.
    Dopo quasi un minuto di quel patetico arrancare nel fango e nella pioggia raggiunsero una porta di legno che comparve all’improvviso a metà del muro esterno. Qualche centimetro sopra di essa, vi era una piccola lampadina accesa, che illuminava i paraggi, una piccola parentesi di luce in un mondo di oscurità. Era un’immagine bella, quasi poetica, ma al tempo stesso triste e commovente.
    Dava l’idea di una lotta disperata, di una battaglia persa in partenza.
    La donna spense la torcia e la nascose in una tasca del giaccone.
    Estrasse una chiave con cui aprì la porta.
    “Prego.” lo invitò, spalancandola verso l’interno.
    Lui fece per entrare, ma si fermò quando vide un simbolo intagliato sullo stipite esterno.
    Era un doppio rombo, al cui interno recava incise una serie di linee perpendicolari, disposte come quattro L attaccate.
    Gli sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.
    “È la Croce di Afsling – disse lei, anticipando la sua domanda – Indica il cambiamento. Tra i celti era considerato un sigillo per combattere il male.”
    “Una specie di superstizione?”
    “Tu che dici?”
    L’uomo preferì non rispondere. Qualche giorno prima, non avrebbe esitato nel definire tutto quel genere di cose sciocchezze da bifolchi.
    Ma ultimamente si erano verificati degli avvenimenti che avevano fatto vacillare le sue certezze.
    “Vuoi muoverti? Sono stanca di starmene qua sotto la pioggia a congelarmi il fondoschiena.”
    Lui distolse lo sguardo. Non aveva idea di a cosa stesse andando incontro, né capiva pienamente da cosa stesse scappando.
    Quella situazione non gli piaceva, ma ora non credeva che sarebbe riuscito a tornare indietro. Prese un bel respiro e oltrepassò la soglia.
    Oltre, lo attendeva una piccola anticamera. Era un ambiente raccolto, a suo modo accogliente, con il pavimento e le pareti rivestiti di legno chiaro. La stanza era completamente vuota, fatta eccezione per un attaccapanni su cui erano già stati appoggiati quattro giubbotti ed un cappello di lana.
    La sua compagna chiuse la porta alle loro spalle. Si tolse la giacca, nonostante il freddo. Lui fece altrettanto.
    Quindi, lei gli fece cenno di seguirla lungo un corridoio rischiarato da delle candele fissate su dei supporti attaccati al muro. Questi erano intervallati da quadri e fotografie in bianco e nero. Accanto a scorci di spiagge rocciose su mari grigi e colline verdi incontaminate stagliate contro a cieli tersi, c’erano uomini dall’aria austera, ritratti e immortalati quasi tutti con vecchi fucili, pistole o armi bianche strette in pugno. Nulla permetteva di intuire chi essi fossero.
    La donna procedette spedita, senza nemmeno guardare le varie porte che, alla sua destra e alla sua sinistra, portavano ad altri ambienti della casa.
    Lo condusse fino infondo a quel tratto di corridoio, che curvava ad angolo retto verso sinistra.
    Dopo aver svoltato si ritrovarono in cima ad una rampa di scale che scendeva ben al di sotto del livello del suolo. Da sotto, provenivano il suono di una chitarra e una voce intonata.
    L’uomo avanzò in quella direzione, quasi senza accorgersi che la sua guida si era fermata.
    “Aspetta.” gli intimò.
    Lui la guardò, incuriosito.
    “Che c’è ora?”
    “Dove stiamo andando – spiegò pacatamente – le armi non sono ammesse. Dobbiamo lasciarle tutte qui.”
    Per sottolineare le sue parole con i fatti, si chinò ed estrasse dalla fondina che portava alla caviglia un piccolo revolver che depositò in un armadio al suo fianco. Quando spalancò l’anta, lui riuscì a scorgere, per un attimo, una piccola armeria. Intravide un paio di semiautomatiche, una doppietta a canne mozze e un fucile da caccia.
    La donna appoggiò la sua pistola su un ripiano, accanto a dei coltelli, poi si voltò a guardarlo.
    “Cosa vuoi da me?” le chiese.
    “Ho detto che dobbiamo lasciare qui le armi.”
    “E allora? Io non ho niente.”
    “Sicuro?”
    Si fissarono negli occhi per qualche secondo. Alla fine lui cedette.
    “Va bene – si arrese – hai vinto tu.”
    Da una tasca dei suoi jeans fece apparire un coltello a serramanico, che le consegnò.
    “Credevo che quello l’avessi lasciato a casa tua.”
    “Ti sbagliavi. Possiamo andare ora?”
    Lei accostò l’anta dell’armadio.
    “Possiamo andare ora.”
    Assieme iniziarono a discendere la scala. In fondo li attendeva uno stanzino buio con una porta.
    Da sotto a questa filtrava una sottile lama di luce. Finalmente erano arrivati.
    La sua compagna lo superò, abbassò la maniglia e lo precedette entrando. Lui la seguì.
    Che cosa si aspettasse esattamente di trovare, dopo tutti quei misteri e quelle regole assurde, non sarebbe stato in grado di dirlo esattamente. Tuttavia, non riuscì a evitare di provare un vago senso di delusione.
    Era soltanto un’altra camera, una specie di tavernetta, questa volta. Un fuoco ardeva allegramente in un camino di fronte all’ingresso, ma l’illuminazione era garantita anche da un lampadario che pendeva sopra al tavolo posto al centro dell’ambiente. L’unica finestra si trovava sulla parete alla loro sinistra, vicina al soffitto. A destra, invece, c’era un bancone. Il pavimento era ricoperto da un morbido tappeto.
    Nel complesso, era una stanza molto accogliente, ma assolutamente identica a centinaia di altre che si potevano trovare in tutto il resto della nazione.
    Quanto agli occupanti, poi, c’era ben poco da dire. Erano sei persone qualsiasi, che se incontrate per strada di giorno non sarebbero state ritenute degne di una seconda occhiata.
    Chiaramente lui non aveva la minima idea di chi, o cosa avesse di fronte in quel momento.
    Perché di fronte a lui, in quella stanzetta di una fattoria sperduta da qualche parte nei campi a nord della cittadina di Athenry, il Passo dei Re, nella contea di Galway, in Irlanda, erano riuniti coloro che, molto poeticamente, amavano definirsi i Magnifici Sette.
    I custodi segreti del popolo irlandese.
    I sette grandi Cacciatori d’Irlanda.
     
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  2. sahany09
     
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    Molto suggestivo e scritto bene. Complimenti e vai avanti.
    Hai ragione. In effetti l'Irlanda è un luogo adattissimo per ambientarci storie simili.
     
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    Cacciatore/trice Soprannaturale

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    Bravo l'ambientazione mi è piaciuta molto primo perchè azzeccata e poi (cosa molto personale) perchè mi ha riportato alla memoria gli splendidi paesaggi della contea di Galway.
     
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  4. dani61
     
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    Bellissimo questo primo capitolo! Molto realistica la descrizione del paurosissimo temporale - tra l'altro proprio in questo momento ne è scoppiato uno bruttissimo anche qui, un po' la realtà, un po' l'ora e poi il tuo "personale" temporale, devo dire che mi sento un po' "presente" come terzo passeggero su quella macchina - un racconto molto avvincente - e per fortuna che è solo un'introduzione - non oso pensare al resto!!! Molto molto bravo!!
     
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  5. Hunter 92
     
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    A una settimana esatta dal primo capitolo, come promesso, pubblico la seconda parte (di tre) della storia, nella quale viene dato un nome ai due viaggiatori del primo capitolo e agli altri personaggi, e io sbizzarisco un po' il mio estro retorico.
    Sono felice che il mio lavoro vi piaccia e spero andando avanti di non deludervi.

    Avverto subito che la terza parte in realtà non è ancora stata scritta (per le prime due ho soltanto dovuto fare un lavoro di rilettura e revisioe). Dato che in questo periodo sono un po' impegnato, non so quando riuscirò a finirla.
    Conoscendomi, mi do una scadenza di tre settimane, che spero di rispettare.

    Ecco qui la seconda parte, intitolata, manco a farlo apposta

    I Magnifici Sette

    Un uomo sedeva discosto dagli altri, accanto al fuoco.
    Suonava una chitarra che teneva sulle ginocchia accompagnandosi con la voce.
    La canzone aveva un ritmo lento, triste. Parlava, come molte altre ballate d’Irlanda, di ribellione e di speranza, di onore e coraggio, di una lotta impari e disperata.
    Il cantante era molto intonato. Aveva una voce calma, pacata, rassicurante.
    Era un uomo sulla cinquantina, in buona forma, considerata l’età, con i capelli neri andavano tingendosi di grigio sopra le tempie.
    I suoi occhi erano di un azzurro intenso e chiarissimo, quasi inquietante.
    Tutti gli altri occupanti della stanza lo ascoltavano con un’attenzione che travalicava il semplice apprezzamento per la musica e tradiva un profondo rispetto.
    Sedevano in quattro attorno al tavolo al centro della stanza. Ognuno aveva un bicchiere mezzo vuoto di Guinness davanti a sé. Una quinta persona stava dietro al bancone
    Sul tappeto di fronte al camino, accanto al chitarrista, era coricato un setter, con il muso poggiato sulle zampe. Al centro del tavolo dormiva acciambellato un gatto completamente nero.
    Degli otto occupanti della stanza, nessuno sembrò accorgersi dei due nuovi arrivati.
    Questi non manifestarono in alcun modo la loro presenza.
    Rimasero fermi sulla soglia, come ipnotizzati da quel ritmo monotono, da quella canzone bella e allo stesso tempo tragica.
    Non si mossero finché l’ultima nota non si spense nell’aria.
    Solo allora l’uomo con la chitarra aprì bocca.
    “Ben arrivata, Lily.” disse semplicemente.
    “Ciao, Paul.” replicò lei.
    Il setter levò il capo testa. Abbaiò un paio di volte allegramente. L’uomo dietro al bancone li vide e fece un cenno di saluto sorridendo. Quelli seduti al tavolo si voltarono verso di loro.
    Si accorsero subito della faccia nuova.
    “Lui chi è?” chiese acidamente un uomo dai cortissimi capelli rossi, con un paio di occhiali tondi scuri e una sigaretta accesa che pendeva da un angolo della bocca.
    “Il tuo assistente?” ipotizzò un giovane dai lunghi capelli castani e gli occhi verdi che dava loro le spalle, piegando la testa indietro per guardarli.
    “In ogni caso, non può stare qui.” abbaiò un altro guardandoli con rabbia da sopra un paio di baffi neri.
    “Calma, ragazzi, calma.”
    Paul si alzò in piedi. Appoggiò la sua chitarra contro il muro con incredibile delicatezza, come se fosse stata un neonato. Scrocchiò le dita della mano sinistra.
    “C’è un tempo terribile questa sera. Non dev’essere stato un viaggio facile per arrivare fin qui. Direi che possiamo concedere loro un momento di respiro, prima di iniziare con l’interrogatorio.”
    Mentre parlava, aveva poggiato una mano sulla spalla dell’uomo con i baffi, come per dirgli di stare calmo. Attraversò la stanza con calma. Indicò a Lily una sedia vuota dove lei prese subito posto.
    Si fermò davanti al nuovo arrivato.
    “Paul Malcolm.”
    L’altro esitò un istante prima di stringergli la mano.
    Il suo sorriso era sincero e gentile, la sua stretta salda e decisa.
    “Brian.”
    “Piacere di conoscerti, Brian. Tu vieni da Dublino, giusto?”
    “Sì. Come fai a...?.”
    Paul scosse leggermente la testa.
    “Non preoccuparti. È... un dono di natura, diciamo.”
    “Immagino...”
    Il suo sorriso si allargò.
    “Non credo. Ma non ha importanza. Vedo che ti sei bagnato. Seoirse, gentilmente...”
    “Subito.”
    L’uomo al bancone, robusto e completamente calvo, scese dallo sgabello su cui era seduto. Si avvicinò a Brian e gli tirò una sonora pacca sulla schiena.
    “Vieni con me, figliolo.”
    Lo indirizzò su per le scale, sospingendolo gentilmente ma energicamente.
    “Ti servirà senz’altro un asciugamano. Magari anche un cambio. Sì, sì, decisamente anche un cambio. Nessun problema, mio fratello dovrebbe avere qualcosa della tua taglia. Va bene, forse un pochino più grande, ma non mi sembra una cosa tanto grave, giusto?”
    Il giovane, non ancora pienamente convinto, si ritrovò costretto ad addentrarsi assieme con quel perfetto sconosciuto nel dedalo di corridoi e stanzette della casa.
    “Quindi tu vieni da Dublino, eh? Gran bella città! Ci sono stato un paio di volte, sai...”
    Non appena la voce di Seoirse si perse in cima alle scale, Lily emise un sospiro di liberazione, si passò le mani su viso e levò lo sguardo al cielo.
    “Tieni – le disse l’uomo dai capelli lunghi, facendole scivolare davanti un bicchiere di birra – hai l’aria di averne un gran bisogno.”
    “Grazie, Owen.” fece lei sincera. Il setter si avvicinò, abbaiò di nuovo e le poggiò una zampa sulla gamba. Lei lo grattò sul capo dietro alle orecchio.
    “Anch’io sono molto felice di vederti, Bran.”
    “Ora che ti sei accomodata, protesti dirci cosa sta succedendo?” le domandò il fumatore, mentre spegneva la sigaretta che teneva in bocca direttamente sul tavolo e se ne accendeva un’altra.
    “Sean, qual è il tuo problema?”
    “Permettimi di tradurti la domanda del mio buon amico in parole più semplici: che cazzo ti è saltato in mente? Chi è quel coglione che ti porti dietro?” la aggredì l’uomo coi baffi.
    “William, datti una calmata.” lo ammonì Paul tornando a sedersi vicino fuoco. Aveva parlato con un tono calmo ma che non ammetteva repliche.
    “Ha ragione, però. Lui non è uno di noi. Non poteva portarlo qui.” ammise l’uomo biondo seduto alla destra di Lily, che fino ad allora era rimasto in silenzio.
    “Sono certo che Lily ci saprà dare una spiegazione, John.” disse Paul mentre raccoglieva la sua chitarra e tentava qualche accordo.
    Lei sospirò nuovamente, questa volta con rassegnazione. Fece scorrere lo sguardo sugli altri. Tutti la fissavano in attesa. Il gatto intanto si era risvegliato e le si era avvicinato facendo le fusa. Lily lo accarezzò distrattamente mentre cercava di riordinare le idee.
    “Non so da che parte cominciare.” ammise.
    “Che ne dici dell’inizio?” consigliò Owen.
    “Io sono più curioso di sapere chi è il nostro nuovo amico.” intervenne William.
    “Brian è uno studente del Trinity College di Dublino. È nato in città e viveva con i suoi genitori. Sono tutti morti tranne lui.”
    Lily si voltò verso Paul, che stava arpeggiando con toni sommessi nel suo angolo.
    “Dico bene?” si informò senza distogliere lo sguardo dalle donne.
    “Sì.” confermò la donna.
    Il suo volto si incupì: “L’ho sentito prima, quando gli ho stretto la mano. È stato più forte di me.”
    “Quindi...?” insistette William
    Lily si tolse una ciocca di capelli dal volto e iniziò il suo racconto: “Come ha detto Paul, Brian è, o, meglio, era, uno studente. Qualche sera, mentre stava festeggiando con alcuni suoi amici in un pub di Dublino, ha conosciuto una ragazza, le ha offerto da bere e ha detto agli altri di togliersi dai piedi. Purtroppo lei aveva già un accompagnatore, che non ha gradito per niente la cosa. I due, Brian e quell’altro, hanno preso a litigare, sono volati degli insulti. Cinque minuti dopo stavano facendo a botte nel vicolo dietro al locale. Poi, le cose si sono complicate: quello ha tirato fuori un coltello, ma era troppo ubriaco, o forse soltanto troppo scemo, e ha finito per piantarselo nello stomaco. Brian ha chiamato un’ambulanza, ma non c’è stato niente da fare: il ragazzo è moto nel tragitto verso l’ospedale. La Gardaì ha concluso che si era trattato solamente di un brutto incidente, e tutto sembrava risolto per il meglio. Dico ‘sembrava’, perché, purtroppo per un bel po’ di gente, l’idiota era il protetto di una banshee.”
    “Una banshee – commentò incredulo John – Non credevo che ce ne fossero ancora, così a sud.”
    “Non sono molto frequenti, di questi tempi, ma ce ne sono ancora – sentenziò Paul – Va avanti, ti prego.”
    Lily riprese a parlare senza entusiasmo: “In quel periodo, per fortuna, io mi trovavo in città per fare rifornimento di munizioni. Sono quindi venuta a sapere del funerale di questo poliziotto che era stato trovato morto in casa sua, con la pistola in mano, il caricatore svuotato contro il muro e un’espressione di puro terrore stampata in volto, di cui non si riusciva a scoprire la causa del decesso. Non mi ci è voluto nulla per capire con che cosa avevo a che fare. Ho provato ad indagare, ma praticamente non avevo niente. Per quel che ne sapevo, forse la banshee aveva smesso di uccidere. Il giorno dopo, però, è saltato fuori il cadavere di una ragazza, nelle stesse identiche condizioni di quello del poliziotto. Ho fatto qualche domanda alle sue amiche, e mi è stata raccontata la storia della lite al pub. I colleghi della prima vittima mi hanno dato le conferme di cui avevo bisogno. Fino a quel punto erano morti la ragazza del protetto e colui che non gli avevo reso giustizia.”
    “Le banshee hanno un concetto molto lato di giustizia.” commentò Owen. Lily lo ignorò.
    “Fortunatamente, Brian era un cliente abituale del pub. Perché ormai non avevo dubbio che, sulla lista nera di quella bestia, il prossimo nome era il suo. Ho scoperto chi era e dove abitava, ed ho iniziato a seguirlo, in attesa che quella maledetta facesse la sua mossa. Però l’ho sottovalutata, ho abbassato la guardia un istante, e lei mi ha fregato. Aveva già capito che le stavo dietro e così, anziché colpire direttamente il suo bersaglio, come mi aspettavo, prima ha cercato di mettere fuori gioco me. Mi ha colto di sorpresa, e per poco non ho fatto una pessima fine. Sono riuscita a cavarmela con una nuotata notturna nel Liffey. Non è stato troppo piacevole ma l’alternativa sarebbe stata peggiore. Non appena ho rimesso piede a riva, mi sono precipitata a casa di Brian. Sono arrivata troppo tardi. Suo padre e sua madre erano già morti. La banshee li aveva appena fatti a pezzi sotto ai suoi occhi.”
    “Perché questa crudeltà?” rifletté Paul ad alta voce, smettendo di suonare “È un comportamento atipico per una banshee torturare le propria vittime o prendere la vita a persone innocenti.”
    “La cosa ha colpito anche me, in effetti – replicò Lily – ma non mi pareva il momento adatto per pormi certe domande. Del resto, la nostra non è una scienza esatta, giusto?”
    L’uomo non le rispose. Abbassò lo sguardo, dubbioso, facendole cenno di proseguire con una mano.
    “Non c’è più molto da dire. Io sono riuscita a portare Brian lontano da lì. Lui ha fatto il sacrificio di sangue rituale mentre io tenevo a bada la banshee e lei si è placata. Tutto questo accadeva l’altro ieri, verso mezzanotte.”
    La donna si interruppe un attimo per bere un sorso di birra.
    “Brian era... beh, dire sconvolto sarebbe un eufemismo. Mi ha chiesto cosa fosse la cosa da cui l’avevo salvato, chi fossi io, perché mi interessassi a lui, eccetera. Più o meno quello che ci chiede chiunque. A me dispiaceva per lui, sinceramente, ma non sapevo che cosa fare. Sembrava quasi che avrebbe preferito farsi ammazzare. Mi ha chiesto cosa avrebbe dovuto fare, visto che i suoi erano morti. Già aveva il suo bel carico di sensi di colpa per la morte di quell’altro, la storia della banshee non contribuiva di certo a migliorare il suo umore. Io non avevo risposte da dargli, e glielo dissi. Dissi anche che me ne sarei dovuta andare. Allora lui mi pregò di dargli un passaggio.”
    “Un passaggio?” John esibiva un’espressione confusa.
    “Mi disse che non poteva restare a Dublino dopo quello che gli era capitato. Voleva cambiare aria, almeno per un po’, e non sapeva a chi altro chiederlo. Io mi rifiutai, all’inizio, ma lui insistette, e alla fine...”
    “Alla fine hai acconsentito.” concluse per lei Paul. Non c’era traccia di rimprovero, nella sua voce. Forse solamente del rimorso. Quando però lei si voltò verso di lui, nel profondo dei suoi occhi covava un profondo rancore.
    “Sì, alla fine gli ho detto di sì. Pensavo di scaricarlo ad Athlone, quando sarei passata per la città. Arrivati là, però, disse di voler diventare come me. Un Cacciatore.”
    “E tu non hai saputo dirgli di no, giusto?”
    “Perché non lo dici chiaramente? Sì, non l’ho sbattuto giù dall’auto, come probabilmente avrei dovuto fare. Non gli ho detto subito di no. Gli ho detto che l’avrei portato con me qua, che c’erano alcuni amici che avrei dovuto vedere, che avremmo deciso tutti insieme solo allora. Proprio come hai fatto tu con me parecchio tempo fa. E, prima che tu me lo chieda, sì: un pochino la sua situazione mi ricordava la mia.”
    “Lily...” Owen sembrava non essere in grado di trovare le parole.
    “Che c’è?”
    “Sei completamente impazzita, per caso?” chiese Sean con sincerità.
    “Sean, per cortesia...” Paul riprese a suonare distrattamente.
    “Paul, se posso dire la mia – John attese un momento di ricevere un cenno di assenso da parte sua, prima di proseguire – ci sono alcuni dettagli della storia personale di Lily che io non conosco, ed è giusto così: ognuno di noi ha i suoi demoni personali, e quelli sono fatti esclusivamente suoi. Però non credo di dover essere io a ricordarle quanta gente ci chieda di venire con noi, quando perdono qualcuno di caro. Mi ricordo di un povero cristo che aveva visto moglie e figli divorati vivi dai vampiri. Non voleva lasciarmi andare. Io l’ho dovuto colpire in testa con il calcio del fucile per fargli cambiare idea. Beh, a dire il vero sono scappato via lasciandolo privo di sensi nella stanza di un bed&breakfast, comunque... il punto è che tutto questo fa parte del gioco. Non tutti possono essere come noi. Il nostro compito, almeno in parte, è anche farlo capire a quelli che aiutiamo.”
    Paul gli rispose prima che Lily potesse intervenire: “John, io ho piena fiducia in Lily e nella sua capacità di giudizio, cosa di cui ha dato prova in numerose occasioni. E, contrariamente a quanto lei crede, non sono assolutamente convinto che la sua storia passata, o un qualsiasi avvenimento della sua vita abbia qualcosa a che fare con la sua scelta. Se ha portato Brian fin qui, avrà avuto le sue motivazioni, che credo sia sul punto di illustrarci.” Concluse il suo discorso con uno sguardo rivolto alla donna, che esprimeva la più sincera curiosità.
    Lei esitò un momento prima di parlare: “A dire il vero, non ne sono sicura. Non so di preciso perché ho accettato che Brian venisse con me. Forse veramente mi ricordava la piccola Lily, abbandonata e bisognosa di aiuto. Forse era troppo carino per dirgli di no, oppure semplicemente avevo voglia di qualcuno che mi tenesse compagnia durante il viaggio. Però... – scosse brevemente il capo, non era sicura di quello che stava per dire – forse sto solamente impazzendo. Però, quando l’ho guardato, la prima volta che me l’ha chiesto... mi è venuto automatico pensare che aveva lo stesso guardo che vedo riflesso nel mio specchio tutte le mattine, lo stesso che vedo in faccia a ciascuno di voi. Lo stesso coraggio, la stessa disperazione, la stessa cupa determinazione. Ho pensato che Brian avesse lo sguardo di un Cacciatore.”
    Un attimo di silenzio.
    “E poi – aggiunse, a mo’ di scusa, prima di bere un altro sorso di birra – penso ci farebbe comodo qualcuno per coprire la zona intorno a Dublino.”
    “È vero – intervenne subito Owen – io ormai mi spingo sempre più di rado nelle contee di Kildare e Wicklow, i problemi maggiori li ho in zona Waterford.”
    Lily tossì. La Guinness le era andata di traverso. Quando si riprese domandò: “È sufficiente?”
    William sembrò sul punto di dire qualcosa, ma ci ripensò.
    Paul sospirò: “È un inizio, diciamo. Credo che a questo punto dovremmo parlarne e...”
    “Parlare di cosa?”
    Tutti, tranne Paul, si voltarono di scattò. Brian e Seoirse erano di ritorno. Il primo si era asciugato i capelli.
    Ora, al posto del maglione nero, indossava sulla sua maglietta bianca una camicia rossa a quadri sbottonata di un paio di taglie troppo grande per lui. Si rese conto del silenzio che era calato nella stanza.
    “Allora?”
    Come al solito, fu l’uomo accanto al fuoco a parlare. Si schiarì la voce, posò la chitarra e giunse le mani in grembo: “Prego, Brian, siediti.”
    C’era ancora una sedia vuota attorno al tavolo. Precisamente, quella tra Sean e William.
    Non esattamente il posto migliore, ma il solo disponibile.
    “Ragazzi, dovrei cominciare a preoccuparmi?”
    Gli sguardi degli altri occupanti della stanza non sembravano promettere nulla di buono.
    “Tieni, ti farà bene.” Seoirse gli posò di fronte un bicchiere di birra. Era il solo a sorridere ancora.
    “Seoirse, Brian ti ha raccontato perché si trova qui?” gli chiese Paul
    “Mi sembra abbastanza ovvio, no?” rispose quello, ritornando sul suo sgabello dietro al bancone.
    “In effetti... e allora, cosa ti ha detto?”
    “Che Lily gli ha salvato la vita da una banshee. Il resto, sono affari suoi.”
    “Giusto. E tu cosa ne pensi?”
    “Che la nostra ragazza ha fatto un ottimo lavoro. È diventata una grande Cacciatrice, ma questo lo sapevamo già. Lui mi sembra un tipo a posto. Ma non basta, giusto?”
    Era una domanda che non necessitava di una risposta. Paul spostò immediatamente l’attenzione sul giovane.
    “Brian, mi pare d’aver capito che tu abbia manifestato il desiderio di diventare uno di noi.”
    Lui lo guardò dubbioso, prima di annuire lievemente col capo.
    “Bene. È Lily ti ha spiegato esattamente chi siamo noi?”
    “Mi ha detto che siete Cacciatori. Di quelli con la C maiuscola. Mi ha detto che uccidete i mostri, che salvate vite innocenti. Mi basta.”
    Paul sorrise tristemente, scuotendo la testa: “No, non ti basta.”
    Raccolse i pensieri prima di proseguire: “Iniziamo dalle basi. Il Bene e il Male sono due concetti basilari, presenti in pressoché ogni cultura, scuola di pensiero e corrente filosofica della storia del mondo. Questo è un dato di fatto. Ora, essi, contrariamente a quanto sempre più persone al giorno d’oggi tendono a credere, non sono né vane mistificazioni simboliche o né concetti astratti. Sono reali, dannatamente concreti, proprio come l’aria che respiri e la sedia su cui sei seduto. Reali come te e come me. E questo, se arriverai alla mia età avendo visto anche solo un terzo delle cose a cui ho assistito, sarà per te un altro dato di fatto.
    “A questo punto, bisogna però chiarire cosa sia il Male. Per risponderti in breve, non quello che pensi tu, o che chiunque altro penserebbe al posto tuo. Io non sto parlando dei bambini che rubano i soldi dalla borsa della nonna, né dei ragazzi che bestemmiano appena fuori dalla chiesa. Non mi riferisco ai ladri o agli assassini, ai pedofili stupratori o ai serial killer, perché di questi problemi c’è già chi se ne occupa, più o meno bene, a seconda dei casi. Non sto parlando nemmeno dei grandi mali del nostro tempo, non delle guerre o della minaccia del terrorismo, non di epidemie, di crisi politico-sociali, non dell’esaurimento delle risorse, della crisi economica e dei disastri naturali.
    “La differenza tra questi tipi di male, e quello con cui noi abbiamo a che fare, è al tempo stesso terribilmente semplice e troppo complicata, o assurda, perché una mente razionale riesca a capirla a fondo. Il Male che noi, io e i miei compagni qui riuniti, combattiamo, è il peggiore. Non esistono altri modi per definirlo. È il peggiore perché è al di fuori della concezione umana, perché rifugge e nega le leggi naturali che governano il mondo, perché ci strappa, ogni volta che lo affrontiamo, dalla nostra calda e confortante visione scientifica dell’universo, trascinandoci in un luogo freddo e oscuro, popolato da ombre inconsistenti e orrori senza nome. Rifiuta ogni forma di dialogo, ogni tentativo di controllo e ogni speranza di comprensione. Esiste un solo modo per averci a che fare e poter sopravvivere per raccontarlo: annientarlo, annichilirlo senza pietà e senza esitazione, senza dargli una sola possibilità di riprendersi, un minimo accenno di tregua, uno solo maledetto spiraglio di speranza. Perché quando ciò accade la gente muore.
    “Non esiste un modo facile, o indolore, per scoprire la verità. Tu prova ad andare in giro e a chiedere a quelli che incontri: ‘credi ai fantasmi?’. Alcuni ti diranno di sì, che credono ai fantasmi, ai morti viventi, ai lupi mannari, ai vampiri e anche alla pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. Ma non è vero. Non ci credono, non possono crederci. Perché finché certe cose non te le trovi di fronte, ci sarà sempre qualcosa, dentro di te, che ti dirà che non è vero niente, che i mostri non esistono, che non c’è nulla in agguato nel buio. Questa è la prima lezione fondamentale che quelli come noi devono imparare: c’è qualcosa, nel buio. E quel qualcosa non ti vuole bene. Anzi, probabilmente si sta già preparando a farti a pezzi, o a divorarti vivo, o peggio ancora. E anche questo, purtroppo per tutti noi, è un dato di fatto. Chiunque ti dica il contrario è un bugiardo, o più probabilmente soltanto un fortunato ignorante.
    “Tu hai incontrato una banshee. Hai varcato la linea e non potrai tornare mai più indietro. Per quanto tu ti possa impegnare, non cancellerai mai quel ricordo. Ti tormenterà fino alla fine dei tuoi giorni. Per questo io non posso fare nulla, ma posso ancora risparmiarti ciò che c’è più avanti. E, credimi, più avanti c’è il peggio. La strada che vuoi intraprendere è a senso unico, ma tu sei ancora in tempo per cambiare idea. Quindi, io ti chiedo ora, sulla base di quanto di ho detto, vuoi andare avanti, o preferisci finire la tua birra, alzarti, e andartene?”
    Brian era completamente assorto nel discorso di Paul. Gli sembrava così folle, così assurdo, che non riusciva, neanche sforzandosi, a prenderlo completamente sul serio. O almeno, non ci sarebbe riuscito fino alla settimana precedente.
    Prima, cioè, di vedere con i suoi occhi quella creatura strappare il cuore dal petto a sua madre senza nemmeno toccarla.
    Non poteva neppure evitare di credergli.
    Il tono con cui Paul aveva esposto il suo delirante ragionamento era calmo e pacato. I suoi occhi non avevano abbandonato il suo sguardo per un solo istante. Nessun altro, nella stanza, si era anche solo sognato di interromperlo. Tutti erano rimasti in silenzio, ad ascoltarlo, i loro volti impassibili.
    Non ci voleva molto a capire che quella storia non gli avrebbe portato nulla di buono. Forse, anzi, sicuramente, avrebbe fatto meglio a seguire il consiglio di Paul.
    Era ancora in tempo per andarsene, questo l’aveva detto anche lui: poteva ancora uscire da quella stanza, da quella casa, scappare, correre via, fuori, sotto la pioggia, dimenticarsi per sempre di tutta quella storia.
    E invece no.
    Non poteva. Non poteva dimenticare. Era assurdo pensare una cosa del genere. L’immagine di quella cosa che smembrava sotto ai suoi occhi i suoi genitori impressa nella sua memoria come nessun ferro rovente al mondo sarebbe stato in grado di fare. Non poteva.
    Non poteva pensare che la stessa cosa sarebbe capitata ad altre persone, mentre lui avrebbe potuto impedirlo.
    Non poteva perché là fuori, sotto la pioggia, era buio. Ed era nel buio che si nascondevano loro. Il nemico. Il Male. E lui non sapeva come affrontarlo, non ancora. Era indifeso.
    Non poteva.
    “No.” rispose.
    “No cosa?” insistette Paul.
    “Non intendo andarmene. Sono venuto fin qui per un motivo, e nessuno dei tuoi bei discorsi riuscirà a farmi cambiare idea. Io resto.
    L’altro abbassò lo sguardo, sempre sorridendo tristemente.
    “C’è molta determinazione nelle tue parole.”
    Attese un momento prima di continuare.
    “Ora arriviamo al punto della questione. Tu dici di voler diventare uno di noi. Ma noi, chi siamo? Noi siamo nati all’origine del mondo, e se mai ce ne andremo, sarà con la sua fine, perché sino ad allora il nostro lavoro non potrà mai dirsi concluso. Viviamo a metà tra due mondi: uno è civile, pulito e ordinato, l’altro è caotico, oscuro e corrotto. Proteggiamo il primo dal secondo, anche se non è quasi mai un lavoro facile o indolore. Nessuno ci paga mai, nessuno ci aiuta mai, solo pochi ci ringraziano. Molto spesso, le stesse persone che stiamo aiutando, che stiamo difendendo, provano a fermarci, provano a ostacolarci, ad arrestarci e ucciderci. Ci danno dei ciarlatani e degli assassini, dei profanatori e dei ladri. Agiamo al di fuori della legge, al di sopra delle convenzioni, senza alcun tipo di supporto. Siamo soli là fuori. Viviamo da soli, lavoriamo da soli e da soli moriamo. Non possiamo permetterci nessuna debolezza, nessun errore perché, se lo facciamo, la gente muore. A volte siamo costretti a dover rinunciare alla nostra umanità pur di salvare quella degli altri. Questo perché le cose con cui abbiamo a che fare sono astute, spietate e incredibilmente più potenti di noi. Il solo modo che abbiamo per riuscire a batterle è di essere più astuti e più spietati di loro. Nelle nostre vite non c’è spazio per alcun tipo di legame. Non abbiamo una casa che possa essere definita tale, una famiglia o degli amici veri e propri. Tutto quello che ci rimane è la Caccia, e quella non ci lascia spazio per nient’altro. È la nostra vita, la nostra passione, la nostra missione. La nostra unica compagna. Noi siamo Cacciatori, e finché ci saranno prede continueremo a cacciare.”
    Paul concluse il discorso facendo scorrere lo sguardo sugli altri occupanti della stanza.
    “Se qualcuno vuole aggiungere qualcosa...”
    Owen si schiarì la voce: “Accidenti, Paul, mi dimentico sempre quanto tu sia bravo a fare questo genere di discorsi. Mi hai fatto venire i brividi. Comunque, mi sembra che più o meno sia tutto.”
    Gli altri annuirono silenziosamente con il capo.
    Paul parve soddisfatto.
    “Brian – riprese – ora prendi tutto quello che ti ho detto, immaginatelo cento volte peggiore e forse potresti esserti quasi fatto una vaga idea di ciò con cui noi abbiamo a che fare, ogni santo giorno che il buon signore manda su questa nostra bella terra. Allora te lo chiedo ancora, sei veramente sicuro di voler diventare anche tu un Cacciatore?”
    Forse, a quel punto Brian non avrebbe più dovuto avere dei dubbi.
    Eppure, non poté fare a meno di pensarci di nuovo su, per l’ennesima volta.
    Ma non gli ci volle molto.
    “Sì. Voglio diventare un Cacciatore. Ditemi solo cosa devo fare e smetterò di darvi fastidio.”
    “Ehi, calma, ragazzino!” rise Seoirse “Credi forse che ti sia sufficiente prendere un fucile caricato a sale, puntarlo verso il primo fantasma che vedi e premere il grilletto? Mi dispiace, non lo è. Certe cose, se proprio le vuoi fare, devi prima imparare a farle bene. Altrimenti fai una fine pessima.”
    “Il nostro amico ha ragione – disse Paul – c’è altro che devi sapere, molto altro. Ma prima di andare avanti devo farti un paio di domande. C’è qualcosa che ti senti di dire?”
    Il ragazzo rimase interdetto: non si aspettava una domanda del genere.
    “In che senso?” chiese
    L’altro si strinse nelle spalle.
    “Non tutti sono in grado di essere Cacciatori. Vorrei dire ‘degni’, ma non sono certo che lo si possa definire un onore. Perché tu pensi di essere diverso? Perché noi dovremmo decidere di fare di te un Cacciatore, quindi di perdere il nostro prezioso tempo, tempo che potremmo impegnare a salvare vite innocenti, dietro a te? Come puoi convincerci che ne valga la pena?”
    Brian si agitò sulla sua sedia.
    “Se l’intento era quello di dissuadermi, hai fatto senz’altro un bel lavoro: sei bravo, con le parole. Però sei andato ben lontano dall’obiettivo. Sì, ho capito che se accetto farò una vita terribile, un vero schifo. Ma, sinceramente, non me ne importa assolutamente nulla. Non so che altro fare, non ho nessun posto dove andare, niente per cui vivere. Non m’interessa quello che mi può succedere, quello che mi possono fare: mi uccidano, mi trascinino all’Inferno, facciamo quello che gli pare. Io non intendo fermarmi. Quindi, o voi mi spiegate cosa devo fare, oppure dovrò capirlo da solo. Se questo non vi va bene, sparatemi pure. Perché non ho intenzione di fare marcia indietro.”
    “Non hai risposto alla domanda. Perché credi di poter fare il Cacciatore?” domandò John.
    “Perché lo voglio fare. Ed è quello che farò. Di quello che voi pensate, non mi importa nulla!” ribatté aspramente Brian.
    “Ma perché vuoi fare il cacciatore?” insistette John.
    La voce di Brian si ridusse ad un sibilò irato: “Perché dovrebbero essere affari tuoi?”
    “Brian, rispondi alla domanda!” ordinò sommessamente Paul.
    Il giovane lo fissò con astio: “È un lavoro sporco, ma qualcuno lo deve pur fare.”
    “Non sai quanto hai ragione” sospirò Owen.
    “Sì, sarebbe molto bello, se non fosse soltanto una stupida frase fatta.” sbottò Sean.
    Brian si voltò verso di lui di scatto. Stringeva i pugni. Sembrava sul punto di colpirlo.
    Paul lo bloccò.
    “Brian, no! Smettila di comportati come un idiota, se non vuoi farti tutta la strada da qui ad Athenry a piedi sotto la pioggia.”
    Per qualche secondo regnò il silenzio nella stanza.
    Quindi Brian sciolse i pugni e, senza togliere lo sguardo da Sean, riprese a parlare.
    “Io credo che quanto voi facciate sia estremamente necessario. Perché siete veramente in pochi a farlo. Queste... cose... che voi combattete, sono nemiche dell’intero genere umano. Chiunque abbia un minimo di senso di responsabilità dovrebbe seguire il vostro esempio. Voi fate quello che deve essere fatto, senza tener conto del costo. Io voglio essere come voi. Non voglio starmene in disparte, non voglio passare il resto della vita a sperare che qualcuno mi protegga, che qualcuno faccia il lavoro sporco al posto mio, senza muovere un dito. Voglio combattere al vostro fianco. O anche da solo, se voi non mi vorrete. Ma voglio combattere. Perché è quello che devo fare.”
    “Sono delle belle parole, le tue – mormorò sottovoce William, sorprendendo tutti, forse anche sé stesso – Spero solo che tu stia dicendo il vero. Che tu non stia facendo questa scelta spinto solo dalla vendetta. La vendetta non porta a nulla di buono. Mai.”
    Vi fu una breve pausa durante la quale nessuno si sentì in bisogno di aggiungere nulla.
    “È sufficiente?” chiese Brian.
    “No. Però basta, per il momento – concesse Paul – Brian ha avuto la sua occasione per parlare. Ora tocca a voi. Cosa ne pensate di lui? Credete che sia in grado di fare il Cacciatore?”
    Detto questo, ammiccò in direzione di Lily, che si strinse nelle spalle: “Credo che sia abbastanza evidente. Per me, Brian si merita una possibilità, altrimenti di certo non l’avrei portato qui.”
    “Lo immaginavo. John?”
    “Non ne sono sicuro – fece quello, sincero – Non mi convince completamente. O, meglio, non mi convincono le sue motivazioni. Non riesco a capire quanto ci creda veramente, e se siano sufficienti per un impegno come quello che vuole assumersi. Mi dispiace ma sono sfavorevole.”
    Brian non era certo di capire.
    “Scusate un momento – intervenne – Spiegatemi, state veramente mettendo ai voti il mio ingresso nel vostro circolo di cacciatori di streghe?”
    Paul gli rispose in un tono che non ammetteva repliche: “Stiamo esprimendo delle opinioni, e tu faresti bene ad imparare a rispettare quelle delle persone presenti in questa stanza perché, se resterai con noi, un giorno potrebbero salvarti la vita.”
    Detto questo, non gli prestò ulteriore attenzione, e continuò con il suo giro. “Owen?”
    “Io mi fido di Lily e lei si fida di lui. Questo mi basta. Sono favorevole.”
    “Molto bene. Seoirse?”
    “Volete veramente sapere quello che penso? Sono favorevole, che domande! Noi Cacciatori non siamo mai abbastanza. Direi che questo ragazzo è intenzionato a diventarlo, con o senza il nostro aiuto. Tanto meglio se con, giusto?”
    “È un punto di vista anche quello. Sean?”
    L’uomo spense un’altra sigaretta sul tavolo prima di rispondere. “No.”
    “No?”
    “Sono sfavorevole. Non ce lo voglio uno nuovo tra i piedi. Mi intralcerebbe soltanto, e io rischio già di farmi ammazzare quando sono per conto mio.”
    “Va bene. William?”
    “C’è bisogno di chiederlo? Certo che no! È assurdo anche solo il fatto che ne stiamo discutendo! Ma lo avete sentito? Questo idiota non ha nemmeno capito di cosa stiamo parlando! Figurarsi se è in grado di fare il Cacciatore. Lo dico anche per il suo bene. È tanto meglio per lui se se ne ritorna a Dublino il prima possibile. Sfavorevole.”
    “Tre contro tre.” constatò Paul con semplicità. Il suo voto, sempre ammesso che quella fosse una vera votazione, sarebbe stato quello decisivo.
    “Brian, sarò sincero con te. Tu mi piaci. Mi sembri una persona buona, un bravo ragazzo finito in una pessima situazione per via di un assurdo scherzo del destino. So che non è dipeso assolutamente da me, e che non avrei potuto farci nulla in ogni caso, ma mi dispiace comunque per te. William, probabilmente, ha ragione. Per te sarebbe meglio tornare a casa, e startene il più lontano possibile dalla Caccia e da tutto ciò che la riguarda per il resto della tua vita. Ma mi sembra ovvio che questo non è ciò che vuoi. Anche Seoirse ha ragione: se ora noi ti mandassimo via, tu faresti l’autostop fino ad Athenry, ti procureresti un fucile a canne mozze e andresti alla carica a testa bassa verso la prima creatura soprannaturale che crederesti di avere identificato. Sono quasi certo che non ne troveresti mai una, perché ovviamente certe cose vanno cercate con attenzione, ma se ciò dovesse accadere, tu saresti spacciato. Non puoi affrontare quello che c’è là fuori senza il giusto addestramento, e quello te lo possono fornire solamente sette persone in tutta l’Irlanda. E tutte e sette si trovano in questa stanza. Se devo dirla tutta, per me tu non hai le caratteristiche del buon Cacciatore. Ma anche io posso sbagliare, sebbene accada molto di rado. Quindi ci rimane un unico modo per scoprirlo. Non è mia intenzione negarti la prova fondamentale. Do parere favorevole. Poiché siamo in quattro contro tre, la minoranza deve adeguarsi alla decisione.
    “Hai appena mosso i primi passi per diventare l’ottavo Cacciatore d’Irlanda. Trascorrerai i prossimi mesi, se non i prossimi anni, in compagnia delle persone che ti trovano in questa stanza, osservando, imparando ed imitando. Poi, se sarai ancora in vita, forse sarai in grado di andare per conto tuo. A quel punto ci riuniremo di nuovo per decidere il da farsi. Se mai avrai bisogno d’aiuto, potrai chiederlo solamente a noi sette. Noi non potremo negartelo, ma tu non potrai negarlo a noi. Saremmo la cosa più simile ad una famiglia e degli amici che potrai mai avere. D’ora in avanti il tuo unico compito nella vita sarà quello di identificare, rintracciare e distruggere il Male, in qualsiasi sua forma, in ogni luogo e in ogni tempo, senza tener conto del costo che ciò comporterà per la tua incolumità personale. Nessuno dovrà mai conoscere la vera natura della tua missione a meno che le circostanze non lo rendano assolutamente necessario. Vivrai un’esistenza di privazione e sofferenza, lottando per salvare persone che non ti conosceranno mai, e la tua unica ricompensa sarà una morte dolorosa e violenta in per mano di una creatura abietta strisciata fuori da un qualche inferno senza nome. Congratulazioni, Brian, hai raggiunto il tuo scopo. Rallegratene ora, perché passerai il resto della tua vita a pentirtene.”

    NOTA: Per chi non lo sapesse, la Garda Sìochàna (lett. Guardia della Pace) citata nel brano, è la polizia della Repubblica d'Irlanda.
     
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  6. sahany09
     
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    Eh si. Da SPN abbiamo imparato quanto sia dura la vita dei cacciatori, in tutti gli angoli del mondo. Perché, come diceva Mulder di X-Files, "la verità è là fuori".
    Bravo Hunter!
     
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  7. dani61
     
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    Capitolo veramente magnifico!!! Scrivi davvere egregiamente - certo bellissimo tutto il contesto - ma la parte che ho preferito è la descrizione del male che ha fatto Paul - e anche la parte finale con l'ironico e amaro complimentarsi con Brian - davvero commovente - ipnotizzante la dialettica di Paul - Grande ! Complimenti - bravissimo!!!!
     
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    La curiosità mi sta mangiando.
    Quando arriva il terzo capitolo? :angry:

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    Conscio della mostruosità del mio ritardo (dovuto in parte ad altri progetti letterari non inerenti a supernatural e in parte all'inventare scuse per giustificarmi :D ) sono orgoglioso di presentare il terzo e ultimo capitolo della Trilogia dei Cacciatori d'Irlanda, nel quale i nostri sette irlandesotti sono presentati un poco più nel dettaglio e la allegra riunione riceve una visita... inaspettata.
    Vorrei poter dire che il tempo aggiuntivo si è tradotto in una qualità superiore dello scritto, ma si tratta di un giudizione che sono bel lieto di lasciare a voi. In ogni caso posso preannunciarvi che mi sono veramente sbizzarito con il racconto.

    Concluso questo racconto credo continuerò con il progetto dei magnifici sette magari con altri racconti. Al momento ho un paio di idee che sperò di riuscire a coltivare.

    Vabbeh, per il momento, se possibile, accontentatevi della terza parte, intitolata

    Il destino peggiore

    Fantastico, fu tutto ciò cui Brian riuscì a pensare, sono dentro. Era quello che voleva, del resto.
    L’atmosfera nella stanzetta si distese un poco.
    Seoirse fu il primo a sorridere. “Benvenuto a bordo, Brian!” disse levando un bicchiere di whisky verso di lui e quindi bevendolo tutto d’un fiato.
    Owen lo imitò con un sorso di Guinness. Gli tese la mano con entusiasmo: “Era da quasi un anno che stavo aspettando questo momento. Ora non sono più l’ultimo arrivato.”
    Lily rimase assolutamente immobile. Sorrise brevemente anche lei sotto i baffi, ma forse fu solamente un impressione di Brian.
    John fece solamente un cenno col capo: “A buon rendere, Brian. E senza rancore.”
    William rimase in silenzio. Si limitò a fissarlo con astio.
    Sean fu molto laconico: “Stai lontano dallo Shannon inferiore.” Poi parve ripensarci e aggiunse: “Non sto scherzando: se ti vedo girare nella mia zona, potrei anche decidere di spararti.”
    Brian non seppe come reagire a quest’ultima affermazione se non scoppiando a ridere. “Ragazzi, siete davvero fantastici, ma calma con l’entusiasmo. Così rischiate di mettermi in imbarazzo!”
    “Cerca di capirci – intervenne Paul – da circa una sessantina d’anni a questa parte ci sono stati sempre e soltanto sette Cacciatori, in Irlanda. Vuol dire che un volto nuovo attorno a questo tavolo significava un compagno sottoterra. E noi non siamo persone abituate a fidarci del prossimo. Viviamo più a lungo, facendo così, e soprattutto Cacciamo più a lungo. Tu non hai la nostra fiducia, non te la sei ancora guadagnata. Però hai mosso i primi passi in quel senso, ed è anche giusto da parte nostra tenderti una mano.”
    Accavallò le gambe e si appoggiò allo schienale.
    “Direi che è giunto il momento di fare le presentazioni vere e proprie, oltre a darti qualche altra spiegazione. Per cominciare lascia che ti spieghi meglio come siamo organizzati noi Cacciatori. Ora, non ci vuole un gran genio per capire che l’Irlanda è un paese piccolo, molto piccolo. Mentre in altre parti del mondo, negli Stati Uniti, in Europa, c’è l’abitudine per i Cacciatori di viaggiare di città in città combattendo il Male in una sorta di crociata itinerante senza fine, qui da noi questo è semplicemente impossibile. Se lo facessimo finiremmo con il pestarci i piedi a vicenda, e come a Sean piace far presente spesso e volentieri, quando si va a caccia non è mai un bene avere qualcuno che ti da fastidio. Perciò, molto tempo fa, degli uomini come noi decisero, saggiamente, di dividere quest’isola in una serie di ‘riserve di Caccia’, ovvero in zone di competenza di un unico Cacciatore, delle quali è responsabile una sola persona. Attualmente vi sono in attività sette Cacciatori, cioè noi. Passiamo la maggior parte del nostro tempo rintanati nei sette angoli d’Irlanda, ognuno per i fatti suoi, impegnato a badare alla sua porzione d’Isola di Smeraldo, dando la caccia ai propri mostri. Ci ritroviamo più o meno quattro volte l’anno in questa casa, la casa di famiglia di Seoirse, e parliamo del nostro lavoro, di come ci vanno le cose, dei nostri dubbi, delle incertezze, delle paure... Fa bene avere qualcuno con cui parlarne. A volte è la sola cosa che ci impedisce di impazzire del tutto.
    “Io sono il Cacciatore del nord. Mi occupo delle contee di Leitrim, Sligo e soprattutto Donegal, e credimi già solo quella è una bella gatta da pelare. Gli altri mi considerano una specie di capo, forse perché sono il più vecchio di loro e quindi il più esperto, ma più probabilmente perché io, la Caccia, c’è lo nel sangue. La si potrebbe definire una tradizione di famiglia, e la mia è una famiglia antica. Molto antica. Tu conosci Fionn Mac Cumhaill, giusto?”
    Erano in pochi, in Irlanda, a non conoscere almeno di nome Finn MacCull, uno dei più grandi eroi dell’epica gaelica. Guerriero, mistico, condottiero dei Fianna, i migliori combattenti che l’Irlanda avesse mai veduto.
    Brian ovviamente non faceva eccezione. “Certamente.”
    “Li immaginavo. Bene, forse ti farà piacere sapere che è esistito veramente. Era un uomo, proprio come te e me. Era uno di noi. Un Cacciatore. Il primo, forse. Certamente il migliore. In un’epoca in cui la maggior parte degli uomini aveva troppa paura anche solo per levare lo sguardo da terra ed erano inermi come agnelli al macello di fronte alle bestie del Male, lui rifiutò di arrendersi ed andò in battaglia armato solamente del proprio coraggio. Allora la situazione era ben peggiore di oggi. Sappi che l’Erin è una terra incredibilmente antica, e che in lei vi sono forze altrettanto antiche e molto potenti. Ai tempi di Finn queste forze erano libere di scatenarsi. Esseri di fronte ai quali persino quanti sono radunati qui dentro impallidirebbero vagavano da un estremo all’altro dell’isola senza che nessuno potesse affrontarli. Poi arrivarono Finn ed i suoi seguaci, e per la prima volta il genere umano ebbe una possibilità. Quando Finn morì – perché è morto, non sta dormendo sotto Dublino – allora il fardello passò a suo figlio Oisin, e quindi a suo nipote Oscar, e così via. I discendenti di Fionn continuarono la missione del loro nobile antenato, passando il testimone di generazione in generazione. Nel corso dei secoli, la discendenza non si è mai interrotta. Il cognome si è modernizzato e anglicizzato, ma venne cambiato definitivamente circa duecento anni fa per motivi che purtroppo io non ho mai scoperto, diventando la sua forma attuale, Malcolm.”
    “Che cosa?!”
    Lo stupore di Brian parve quasi comico a Paul.
    “Proprio così. Per quanto ti possa sembrare assurdo, seduto di fronte a te in questo momento c’è l’ultimo erede di Fionn Mac Cumhaill, l’ultimo discendente della sua stirpe.”
    Questo fu veramente troppo per il ragazzo.
    “Sentite – disse – qui stiamo leggermente esagerando. Un conto è dire che i fantasmi esistono, e un conto è pretendere che il discendente di Finn MacCool in persona se ne stia seduto in una fattoria del Galway suonando una chitarra e bevendo birra. È semplicemente assurdo!”
    “Assurdo? – Paul sembrava vagamente divertito – Credimi, ben presto questa parola sparirà per sempre dal tuo vocabolario. Io ti ho detto la verità. Che tu ci creda o meno è non ha la minima importanza, per me. In ogni caso, non credo ci sia molto altro da aggiungere. Se gli si sentono di dire qualcosa...”
    Nessuno però sembrava avere fretta di prendere la parola. Infine parlò Seoirse.
    “Io sono Seoirse O’Byrne. Come ha detto il mio buon amico Paul, questa casa appartiene alla mia famiglia. Al momento ci abita mio fratello con sua moglie e mia nipote. Lui non Caccia, ma è abbastanza gentile da togliere il disturbo qualche sera all’anno per permetterci di fare le nostre riunioni. Per tradizione a me spetta l’ovest. Mayo, Roscommon e Galway, non male, vero? Dico per tradizione perché anche la mia è una famiglia di Cacciatori. Certo, non importante come quella del buon vecchio Finn. A dire il vero è una tradizione piuttosto recente. Credo che il primo dei miei antenati a Cacciare sia stato un mio pro-pro-pro-pro-qualcosa... doveva essere stato ai tempi di Cromwell... si era andato ad infrattare con i suoi amici ribelli in un castello infestato da un Berretto Rosso, pensa un po’ te! Bah, non voglio annoiarti ora con tutta la narrazione, anche perché se attacco a parlare delle glorie passate degli O’Byrne tiriamo mattina, ma ti prometto che un giorno te le racconterò tutte. Questi altri ormai le sanno a memoria.”
    Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi evidentemente ci ripensò.
    “Owen Kearny – si presentò il giovane dagli occhi verdi – qui dentro sono quello che caccia da meno, quindi se lo chiedi a qualcun altro, ti diranno che sono un incompetente. Come te, sono stato arruolato dalla mia cara amica Lily in seguito ad una vicenda piuttosto complicata con una Selkie e...”
    “Una che?” lo interruppe Brian confuso.
    “Massì, una Selkie. Sono... aspettate, cosa sono di preciso le Selkie? Spiriti? Streghe? Mutanti? Beh, per dirla breve, sono delle creature acquatiche. Finché stanno in mare sembrano delle foche, sai, proprio dei teneri peluche dagli occhi dolci buoni per i turisti. Peccato per la loro pessima abitudine di togliersi la pelle e andarsene a passeggio con l’aspetto di dolci fanciulle impazienti di mangiare il cuore dei baldi giovani troppo pronti ad attentare alla loro virtù. Bestie infami! Contro di loro non funziona nulla: piombo, argento, nemmeno il sale. L’unica è trovare la loro pelle di foca e darci fuoco. Per la cronaca, quella volta il baldo giovane in questione ero io. A ripensarci è stata proprio una figura infame. C’era questa cosa che rincorreva per tutta la spiaggia Lily che cercava di dare fuoco a questa pelle bagnata mentre io me ne stavo nell’acqua gelata con i pantaloni abbassati e...”
    “Ok, Owen, forse è meglio non scendere nei particolari.” lo interruppe Paul con un tono divertito.
    “In effetti hai ragione... Che altro c’è da dire? Ah, sicuro: io sono il Cacciatore del sud-est, quindi Waterford, Kilkenny, Wexford, Carlow, Wicklow e Kildare.”
    Dopo un attimo di esitazione, si schiarì la voce l’uomo al fianco di Lily. Era un tipo tarchiato, dalle spalle larghe, la mascella squadrata e i corti capelli biondi tagliati a spazzola.
    “John Hogan, Cacciatore dell’Ulster, molto piacere. Sono l’unico qui dentro disposto ad occuparsi delle contee di Antrim, Londonderry, Down, Armagh, Fermanagh e Tyrone, dove sono nato. L’unico perché Cacciare su al nord non è semplice come qui nel sud. Certo, ultimamente non ci sono più molti posti di blocco, ma sta di fatto che se gli inglesi mi beccassero con la santabarbara che mi porto dietro di solito, credo finirei direttamente davanti al plotone d’esecuzione. Ma io non mi faccio problemi. Prima di iniziare a Cacciare ero un soldato. Sergente nei Royal Irish Rangers e poi nello Special Air Service, che poi è il motivo per cui tutti gli altri mi odiano...”
    “John...” Paul alzò gli occhi al cielo. John levò la mano in segno di scusa.
    “...tranne Paul, ovviamente, al quale sto quasi simpatico. Inoltre la mia permanenza nelle forze speciali di Sua Maestà è anche alla base della mia attuale condotta di vita. Durante la Prima Guerra del Golfo io facevo parte di un piccolo team infiltrato oltre le linee nemiche con il compito di disabilitare le difese aeree degli iracheni. Una notte ero fuori con tre miei compagni, i migliori soldati che abbia mai conosciuto, quando incontrammo nel mezzo del deserto un’amabile vecchietta. Ci stavamo chiedendo cosa avremmo dovuto fare per non spaventarla quando lei si è divisa in due per il lungo. In realtà era una coppia di Nasnas. Li conosci i Nasnas? Leggenda araba. Mezzi demoni con un solo occhio, un solo braccio, una sola gamba... Capito, no? Hanno fatto a pezzi la mia pattuglia. Io mi sono salvato... ho avuto tanta fortuna... è una storia lunga. Quando sono riuscito a rientrare sai che cosa mi hanno detto? Che mi ero sognato tutto! Sindrome da stress post traumatico! Evidentemente la mia pattuglia era stata annientata in uno scontro a fuoco con le forze irachene e io mi ero inventato mostri e mostriciattoli per superare lo shock. Coglioni! Ho mollato tutto e me ne sono tornato a casa. Là ho conosciuto Mick, il mio predecessore. È stato lui a parlarmi per primo della Caccia e ad insegnarmi tutto quello che so.”
    “Già, il caro vecchio Mick, pazzo figlio di puttana!” disse Seoirse.
    “Il mitico Mick-sega-a-motore!” Owen sembrava entusiasta.
    “Ma se tu nemmeno l’hai mai conosciuto, Mick-sega-a-motore.” gli fece notare John.
    “Però Lily me ne ha parlato tantissimo! Quell’uomo era un genio!”
    Brian aveva numerose domande in mente, ma gliene uscì solamente una: “Perché sega-a-motore?”
    “Beh, Mick prendeva molto sul serio la Caccia – gli rispose Seoirse – Sicuro, anche noi lo facciamo, ma lui a volte esagerava. Era proprio calato nella parte del cavaliere errante. Solo che anziché una spada si portava dietro dovunque una sega a motore.”
    “Era veramente innamorato di quella sega a motore – proseguì Lily – diceva sempre che contro di quella, non c’era orrore che teneva. Non serviva a molto contro i fantasmi, ma per il resto...”
    “Si era persino inventato un proprio motto personale.” disse John.
    “Sì! – citò Owen – Rendiamo il mondo un posto migliore...”
    “...scannando il Male con una sega a motore!” conclusero in coro John, Lily e Seoirse.
    E questi sarebbero i prodi difensori del popolo irlandese, pensò Brian. Ma che fortuna!
    Paul parve leggergli nel pensiero.
    “Brian, cerca di capirci. Abbiamo a che fare per la maggior parte del nostro con creature la cui sola vista basterebbe a far uscire di testa un uomo normale. Non è facile restare sani di mente. Bisogna imparare a riderci sopra, a volte. E anche inventarsi motti senza senso, se necessario.”
    “Mick ci credeva veramente, in quel motto. – riprese Seoirse con tono più triste – Un paio di volte per poco non gli costò la vita.”
    “Povero Mick, – concluse John – che brutta fine la sua.”
    “Perché, che gli è successo?”
    “Quando decise che ero in grado di Cacciare per conto mio, se ne andò in pensione. Si trasferì in Scozia. S’era messo in testa di voler imparare a giocare a curling. Però staccare dalla Caccia è una cosa impossibile. Lui resistette un paio di mesi. Poi ritornò in pista. Finì fatto a pezzi da un Nuckelavee.”
    Si strinse nelle spalle.
    “Cose che capitano, quando fai questo mestiere.”
    Brian non si sognò nemmeno di chiedere cosa fosse un Nuckelavee. Non era certo di aver capito nemmeno cosa fosse una Selkie. Per quella sera stava diventando decisamente troppo.
    Non restavano più molte presentazioni da fare.
    Sean, il fumatore, si accese l’ennesima sigaretta.
    “Sean Murphy – disse senza nemmeno voltarsi a guardare Brian – Voglio essere sincero con te: tu non mi piaci, e quasi certamente non mi piacerai mai. Quindi se credi di essermi simpatico o speri di diventare mio amico, scordatelo. Io Caccio lungo il basso corso dello Shannon. Le contee di Clare, Limerick e Tipperary sono mie. Vedi di ficcartelo bene in testa. Se tu provi a ficcare il naso nei miei affari, io ti sparo. Detto questo, stattene fuori dalle contee di Clare, Limerick e Tipperary. Nel resto dell’Irlanda puoi fare quello che ti pare, ma quello è il mio territorio. Tutto chiaro?”
    “Cristallino. Alla larga da Clare, Limerick e Tipperary.” replicò Brian.
    Sean sbuffò irritato.
    “Vedi di fare poco lo spiritoso, ragazzino.”
    Brian rimase zitto.
    Si girò dall’altro lato, verso William. Lui rispose al suo sguardo con astio. Rimasero a fissarsi in silenzio per una decina di secondi. Poi Lily si stancò della situazione.
    “D’accordo, qui si tira mattina. Brian, lui è William Fitzpatrick. Non ce l’ha con te, almeno non solo. È una cosa più nei confronti dell’intero universo. William protegge il Cork e il Kerry ed è ben felice di passare la maggior parte del suo tempo lontano da tutti noi. Non parlargli assieme, non fissarlo, non indicarlo, non fare nulla che abbia a che fare con lui né dire niente che lo riguardi. Se ha qualcosa da dirti, te lo dirà lui. Per la cronaca, gli abbiamo già spiegato un milione di volte quanto sia stupido questo suo atteggiamento da maniaco sociopatico, ma non pare disposto a darci retta. Dico bene, Will?”
    Le pupille dell’uomo si ridussero a due fessure.
    “Chiudi quella fogna.”
    Il suo tono era appena un sussurro.
    Lily non se la prese.
    “Bene. Questo era un sì. Ok, sai già chi sono io. C’è solamente da aggiungere che mi occupo delle Midlands, cioè un bel po’ di contee: Monaghan, Cavan, Louth, Longford, Westmeath, Meath, Offaly e Laois. Detto questo, le presentazioni sono complete.”
    “Fantastico! – disse Brian – E ora?”
    Fu Paul a rispondergli: “Ora dobbiamo decidere con chi inizierai il tuo apprendistato. Visto che è stata Lily a portarti qua, e che conosci meglio lei di tutti gli altri, credo sia compito suo. Te la senti, Lily?”
    Lei guardò prima Paul, poi Brian, infine il suo bicchiere. Bevve prima di rispondere.
    “E perché no? Tanto solamente Owen e Seoirse accetterebbero al posto mio, ma non voglio così male a Brian. E poi, si sa, Owen è un incapace.”
    Se quella doveva essere una battuta, faceva veramente pena. Però fu come un segnale per dare il via alla riunione vera e propria.
    “Ok, ora che possiamo parlare seriamente – esordì Sean – Seoirse, è davvero così difficile per te bloccare i lupi mannari prima che passino Kilmacduach? Se si rifugiano del Burren, è quasi impossibile trovarli, e loro lo sanno. Hai idea di quanto sia difficile seguire delle orme lassù?”
    Il Burren, dal gaelico boireann, terra rocciosa, è un vasto tavolato calcareo situato nella zona nordoccidentale della Contea di Clare. È caratterizzato dalla presenza di grossi raggruppamenti di lastre calcaree, dette clints, sulle quali riescono a crescere solamente le piante più tenaci come l’agrifoglio e il biancospino. L’ispettore di Oliver Cromwell, nel 1640, la definì una ‘terra selvaggia dove non vi è abbastanza acqua per annegare un uomo, né un albero per impiccarlo, né terreno per seppellirlo’.
    “Sarebbe molto più semplice – replicò l’altro – se tu non sparassi a vista contro chiunque osi anche solo avvicinarsi alla tua preziosa Contea di Clare. E comunque questo mese sono stato impegnato. Ero convinto ci fosse un fantasma rapitore alle isole Aran. Una persona era scomparsa e un’altra aveva giurato di aver visto un’ombra con gli occhi rossi...”
    “E poi...”
    Si strinse nelle spalle: “Il tizio scomparso era caduto da una scogliera e il testimone era ubriaco.”
    Owen si grattò una guancia: “Fantasmi rapitori, eh? Ne ho fatto fuori uno a Carlow un paio di mesi fa. Due bambine erano scomparse. La Garda sospettava di un tizio con precedenti di pedofilia ma quello giurava e spergiurava di non saperne niente. Loro non avevano in mano uno straccio di prova e le indagini erano ad un punto morto. Credevo si trattasse di una Shtriga ed ero preoccupato perché non avevo più pallottole di ferro.”
    “Niente più munizioni? – fece Lily – La tua mira è peggiorata ulteriormente oppure hai fatto gli straordinari?”
    Owen sorrise: “Tutti e due, immagino. È da qualche tempo che gli avvistamenti si fanno più frequenti. Sembra che le bestie del Male siano sovraeccitate per qualcosa.”
    Seguì un breve silenzio. Paul fissò William e William si schiarì la voce.
    “Ho... sentito un mio amico... uno yankee... pare che dalle loro parti le cose non vadano troppo bene. Hanno perso molti Cacciatori, recentemente. Si sta scatenando il finimondo. Ci sono demoni dovunque. ”
    “Demoni! – disse Seoirse – Caccio da più tempo di quanto riesco a ricordarmi e in vita mia non ne ho mai visto uno... sembra quasi una barzelletta.”
    “Non ti sei perso nulla – gli assicurò John – io una volta ho assistito ad un esorcismo in, Inghilterra. Non è stata esattamente una cosa piacevole. Non sai quanto ci invidiano, i nostri colleghi inglesi.”
    “E fanno male – sentenziò Paul – certo, qua in Irlanda non ci sono demoni, ma ci sono molte altre creature che il resto del mondo non conosce.”
    Lily scoccò a Brian uno sguardo. Vide nei suoi occhi una profonda confusione e non poté fare a meno di sorridere.
    “Paul, credo che il nostro nuovo amico non stia capendo nulla dei nostri discorsi.”
    Tutti si voltarono verso di lui, che non apprezzò molto il fatto di ritrovarsi al centro dell’attenzione. Stava giusto iniziando a comprendere qualcosa di quello che dicevano gli altri, o almeno così credeva.
    “Scusaci, Brian – Paul sorrise a sua volta – ma non siamo abituati all’avere in questa stanza una faccia nuova. Se hai delle domande non farti problemi. Le risposte che ti verrebbero date un giorno potrebbero salvarti la vita, capisci?”
    Il ragazzo esitò prima di parlare: “Mhm... sì... però... se vi fermassi ogni volta che non capisco qualcosa suppongo non andremmo più avanti...”
    Non gli sembrava sufficiente. Doveva chiedere qualcosa a quel punto.
    “Che... cos’è questa storia... dei demoni?”
    Fu Lily a rispondergli.
    “I demoni sono uno dei nemici peggiori del genere umano. Sono i figli dell’Inferno, esseri di pura tenebra che tendono solamente a due obbiettivi: seminare morte e distruzione e condannare quante più anime possibili ad un’eternità di tormenti. Affrontarli è difficile soprattutto perché per la maggior parte del tempo possono rimanere celati all’interno di una persona qualsiasi. Può essere un tuo famigliare, un tuo amico, oppure un qualsiasi sconosciuto, uomo o donna, vecchio o bambino, per loro non fa alcuna differenza. Riconoscerli è quasi impossibile a meno che non siano loro a rivelarsi ma quando lo fanno spesso è già troppo tardi. Le morti che causano ogni anno sono innumerevoli. Dalla notte dei tempi i Cacciatori combattono contro di loro una guerra senza fine. Tranne che in Irlanda.”
    “Cosa vorrebbe dire?” Brian era sempre più confuso, e anche un po’ spaventato. Fantasmi e lupi mannari erano un conto. Certo, facevano paura, ma infondo erano sempre mostri “terreni”. I demoni però... c’era qualcosa nel solo pensiero che gli faceva rizzare i capelli sulla nuca.
    “Nessuno lo sa con certezza. A riguardo ci sono varie teorie. Secondo alcuni San Patrizio, quando scacciò i serpenti, compì anche il più grande esorcismo di tutti i tempi e bandì per sempre dal suolo di Irlanda tutti i figli dell’Inferno.”
    Si interruppe un attimo.
    “Per altri... beh, una volta ho sentito dire che è per i trifogli. Secondo una leggenda, chi reca con se un trifoglio non può vedere altro che la verità. I demoni per loro natura vivono nella menzogna. Quindi...”
    “Silenzio!”
    Paul aveva parlato con un tono autoritario che non ammetteva repliche.
    “Ascoltate!”
    Tutti rimasero in totale silenzio, e ascoltarono.
    Pioggia.
    Vento.
    Un tuono in lontananza.
    Dopo un po’ Brian si chiese cosa ci fosse da ascoltare. Forse era troppo scemo per capirlo, ma per lui si sentivano solamente lo scrosciare della pioggia sui vetri e l’ululato del vento.
    Un momento... c’era qualcosa che non andava... qualcosa di sbagliato... il vento...
    Un brivido gelido partì dalla nuca di Brian, scese lungo la spina dorsale e si diffuse in tutto il corpo ghiacciandogli il sangue nelle vene.
    L’ululato che si sentiva... non era prodotto dal vento. Era più un grido, un richiamo rabbioso, animalesco. Ma a produrlo non era stato un animale. Non era un suono naturale. Brian lo riconobbe perché lo aveva già sentito una volta. La sera peggiore della sua intera vita.
    Le luci nella stanza tremolarono.
    Il cane abbaiò selvaggiamente. Il gatto soffiò con la coda gonfia e il pelo ritto.
    “Questo non promette nulla di buono.” Seoirse sembrava vagamente preoccupato.
    Le luci si spensero del tutto. Il fuoco del camino creava immagini mostruose proiettando le ombre degli occupanti della stanza sui muri.
    “Stupidi idioti! – William stava letteralmente sputando veleno – Vi ha seguito fino a qui!”
    “Non è possibile! – Lily era sconvolta – Brian ha fatto il sacrificio di sangue! L’abbiamo placata!”
    Una porta sbatté da qualche parte nella casa. La stanza fu invasa da una folata gelida.
    Anche il fuoco nel camino si spense. Le tenebre li avvolsero.
    “Questo decisamente non promette nulla di buono!”
    “Maledizione! Maledizione! Maledizione!”
    Seoirse accese una torcia elettrica. Il fascio di luce gli illuminò il volto dal basso.
    “Dobbiamo prendere le armi, subito – la voce di Paul sembrava emanare calma e determinazione – John, Seoirse...”
    L’ex-soldato fu il primo a scattare in direzione delle scale. Si bloccò quasi subito.
    In cima alla rampa era comparsa una figura spettrale. Sembrava una persona bassa avvolta da un mantello lungo fino ai piedi e con un cappuccio in testa. Emanava una sorta di tenue bagliore. E da sotto il cappuccio brillavano due punti rossi come il sangue.
    “Perché la Croce non l’ha fermata?” chiese Owen con un tono vagamente lamentoso.
    “La Croce impedisce l’accesso del Male – gli rispose Paul con un filo di voce – Le banshee sono spiriti protettori, esseri benigni. Certo, benigni con tutti tranne che con i loro bersagli.”
    John fissava lo spettro. Non poteva andargli incontro ma nemmeno indietreggiare.
    “Paul... prendi l’attizzatoio... molto... lentamente...”
    Paul mosse un passo indietro andando a tentoni nel buio.
    La banshee percepì il movimento.
    La figura spettrale mutò. Divenne alta quasi due metri. Aveva fattezze vagamente femminili ma diafane, innaturali. Il suo volto, ora chiaramente visibile, era una maschera contorta che trasmetteva un dolore infinito, incorniciato da capelli candidi sparsi in tutte le direzioni, come se fossero investiti da un vento impetuoso. La bocca sembrava un pozzo spalancato sul fondo della notte, i suoi occhi ardevano come le fiamme dell’Inferno.
    Quindi la banshee urlò.
    Era un grido di dolore, di rabbia, di disperazione. Un lamento funebre e un pianto d’agonia. Era un suono al tempo stesso umano e molto meno che umano. Era tutti i rumori peggiori del mondo. Era il crepitio della carne umana che brucia, il fischio di una bomba che si avvicina, lo schiocco di un osso che si spezza, l’annaspare disperatamente alla ricerca di ossigeno, la richiesta d’aiuto della vittima soffocata dalla mano dell’assalitore. Tutto questo, e molto altro ancora, investì la piccola stanza come un muro solido di morte e distruzione.
    Brian sentì chiaramente quello stridio che era al tempo stesso un ululato e ruggito infilarsi sotto le sue unghie, stappargli la pelle dai muscoli, i muscoli dalle ossa. Percepì che gli entrava nella testa dalla bocca, dal naso, dalle orecchie, e andava a conficcargli nel cervello punte aguzze di ghiaccio che però bruciavamo come braci.
    Strizzò gli occhi e portò le mani alle orecchie cercando in tutti i modi di allontanare da sé quell’orrore implacabile. Le trovò calde e umide. Stava sanguinando ma non gliene importava niente. Non gli importava di quanto male stesse, non gli importava neppure di morire. Anzi, sperava di morire purché quel suono smettesse.
    Poi, di colpo, tutto cessò.
    Brian si ritrovò disteso a terra ma non sapeva come ci fosse finito. C’era silenzio – benedetto, benedetto silenzio. La testa gli pulsava dolorosamente. Tentò di mettersi seduto ma non ne aveva le forze.
    “Dio...” biascicò qualcuno alle sue spalle. Gli parve di riconoscere la voce di Paul.
    “Cosa... cosa hai fatto...”
    Il fuoco si accese.
    Non c’era più nessuno in piedi all’interno della stanza. Tutti si trovavano stesi a terra, con la testa sporca di sangue. Il cane si era ritirato in un angolo ad uggiolare penosamente. Del gatto non c’era traccia. Il tavolo era rovesciato, i bicchieri rotti, le sedie sbattute contro le pareti.
    Lei entrò.
    Si muoveva con una tale leggerezza che i suoi piedi parevano nemmeno toccare il pavimento. Si era calmata. I capelli le erano ricaduti sulle spalle, le fattezze del suo volto erano tornate quasi umani. Era un volto femminile, giovane, reso quasi attraente dal dolore.
    Si fermò poco oltre la soglia. I suoi occhi – occhi umani, occhi neri come la pece – scrutarono una ad una le figure riverse a terra. Sembrava profondamente dispiaciuta.
    Vide Brian. Sollevò il braccio destro.
    Il ragazzo sentì delle dita gelide stringergli la gola come una morsa e sollevarlo da terra. I suoi piedi persero il contatto con il suolo. Iniziò a scalciare. Gli mancava il fiato.
    La banshee gli si avvicinò fissandolo dritto negli occhi.
    Una voce gli rimbombò nella testa.
    Era solamente un ragazzo... solamente un ragazzo... perché l’hai ucciso?
    “Io... – Brian tossì disperatamente cercando di far entrare nei polmoni dell’aria che non c’era – io non ho fatto niente!”
    Non è vero. Tu... l’hai ucciso. L’hai ucciso. L’hai ucciso!
    La banshee stava perdendo il controllo. I suoi occhi divennero completamente rossi. I capelli le si rizzarono di nuovo. Un vento freddo sferzò il volto di Brian.
    “È stato un incidente! Un incidente! Non volevo, lo giuro, lo giuro!”
    L’HAI UCCISO!
    Quel pensiero era talmente forte che saturò la mente del giovane. Non poteva pensare ad altro. Sì, ammise con sé stesso, l’ho ucciso io. Forse era giusto quello che gli stava succedendo. Forse non c’era speranza per lui di redimersi. Forse la morte era la strada giusta. Pregò solamente che fosse rapido e indolore. Ma qualcosa nello sguardo della banshee lo convinse del contrario.
    “Ferma!”
    La banshee fissò un punto oltre la spalla sinistra di Brian. Si sarebbe voluto voltare anche lui per vedere ma era chiaramente impossibilitato. La stretta sul suo collo si allentò di poco. Riconobbe ad ogni modo la voce: era quella di Paul.
    “Fermati!” ripeté il Cacciatore.
    Chi sei tu? Cosa vuoi? Non ti intromettere, Cacciatore!
    Il messaggio mentale della banshee evidentemente venne percepito anche da Paul.
    “Perché vuoi prendere la vita di questo ragazzo? Ti ha già offerto il suo sangue per ripagare il suo crimine!”
    Non basta! Lui merita di morire! Lui l’ha ucciso!
    “Vuole espiare la sua colpa! Vuole diventare uno di noi!”
    SILENZIO! Lui merita di morire! Lo ha ucciso! Non ti intromettere o subirai la stessa sorte!
    Va bene così, Paul, disse Brian, o forse lo pensò solamente. Non riusciva a ragionare più tanto bene. Era rimasto per troppo tempo senza ossigeno. La fine era vicina. Lo sentiva. Non stava più nemmeno tanto male.
    La banshee alzò il braccio e lui sentì un tonfo sordo alle sue spalle. Immaginò che Paul fosse stato sbattuto contro la parete. Sperò che non si fosse fatto troppo male. Era una brava persona, era stata gentile con lui. Non meritava tutto questo. Nessuno di quelli che si trovavano in quella stanza lo meritavano. Tranne lui.
    Gli occhi della banshee si fissarono nei suoi.
    Lui sentì le forze venirgli meno. Perdeva sensibilità negli arti. La sua coscienza scivolava via. Era quella la morte? Probabilmente sì. Che delusione, pensò. Non gli venne in mente niente di epico come ultimo pensiero.
    Chiuse gli occhi.
    Buio.
    C’era qualcosa che lo trascinava. Un vento freddo. Lo strappò dal suo stato di quiete facendolo precipitare in un turbine indistinto. Vedeva, o forse solamente percepiva, immagini indistinte.
    Pensieri, ricordi. Alcuni erano suoi. Altri non riusciva a riconoscerli. Faceva freddo, molto freddo. C’era un rumore di sottofondo. Era un ronzio misto ad una nenia ossessiva. Crebbe di intensità. Sempre di più. Sempre di più. Divenne fastidioso, poi doloroso. Brian gridò. Si accorse che non aveva più una bocca per farlo.
    Cadde.
    Continuò a cadere nel vuoto. Il suono continuò, si confuse, perse la forma, divenne un rumore bianco che escludeva tutti gli altri. Le immagini si fecero sempre più rapide e indistinte. Ben presto degenarono in un caos di colori e forme indistinte. Era quello il Paradiso? Improbabile. Allora forse era all’Inferno. Non che ci fosse molto di cui stupirsi. Aveva ucciso un uomo, un ragazzo non diverso da lui. Per quelle cose si finiva all’Inferno.
    Cadde sempre più giù, in quel vortice ululante di colori e suoni indistinti, cadde fino al centro dell’uragano, fino al cuore stesso del caos. Là non c’era nulla, solo vuoto e oscurità e silenzio.
    Una voce vicina, familiare e aliena al tempo stesso, gli parlò. Gli ci volle un po’ per comprendere ciò che gli diceva. Quando lo fece, iniziò a urlare. Continuò finché la sua mente si spense e le tenebre lo avvolsero del tutto.
    Luce.
    La percepì anche attraverso le palpebre serrate.
    Provò ad aprire gli occhi ma tutto quello che vide furono macchie indistinte.
    Chi era? Dove si trovava?
    Dalla confusione iniziarono ad emergere le risposte. Il suo nome era Brian Flannagan. Era nato a Dublino. I suoi genitori erano morti. Sì, ricordava tutto. Purtroppo.
    Ricordava anche che avrebbe dovuto essere morto a quel punto. Beh, non si sentiva molto morto.
    Era coricato.
    Si trovava in un letto matrimoniale dalle lenzuola bianche.
    Osservò la stanza che lo circondava. Non la riconobbe.
    Era spoglia, a parte una cassettiera poggiata a fianco della porta, posta direttamente di fronte a lui. Sulla parete alla sua destra c’era una finestra aperta. Da lì entrava tutta la luce e una brezza leggera.
    Si rese conto di non essere da solo.
    Accanto al letto era seduta una bambina. Avrà avuto al massimo sei anni. Aveva i capelli rossi raccolti in una piccola treccia e lo fissava con gli occhi azzurri sbarrati.
    Brian sorrise, o almeno ci provò.
    “Ciao, piccola.”
    La sua voce era un sussurro rauco.
    Pensò a cosa avrebbe potuto dirle dopo ma lei non gliene diede il tempo.
    Si alzò in piedi e corse fuori dalla stanza.
    Cosa sarebbe successo a quel punto?
    Non dovette attendere molto per scoprirlo.
    La porta si aprì. Entrarono delle persone. Le riconobbe. C’era Paul, il vecchio cacciatore. E John, il soldato. E Seoirse, il padrone di casa. Sorridevano.
    “Ragazzo, hai fatto prendere un colpo alla mia nipotina! Per inciso, credo che ti trovi carino...” disse quest’ultimo.
    “Bentornato tra i vivi.” fece John.
    Paul si sedette.
    “Ciao, Brian. Come ti senti?”
    “Una vera merda.”
    Ed era vero. Iniziava ad accorgersene solo a quel punto. Non c’era un solo muscolo del suo corpo che non gli dolesse, non un solo osso che gli sembrasse ancora intero. Aveva male dappertutto.
    Il sorriso di Paul si allargò.
    “È normale. È così che ci si sente, di solito, quando è tutto finito. È così che si sente un Cacciatore.”
    Allora fare il Cacciatore era uno schifo, pensò Brian.
    “Che cos’è successo?”
    “Tu e la banshee avete istituito un contatto spirituale. Lei ha visto dentro di te... i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, la tua anima... e tu hai visto dentro di lei. Certa gente sarebbe impazzita per molto meno. Hai tempra, ragazzo.”
    “Bello. E poi?”
    “Sei svenuto. Credevamo fossi morto, ma respiravi ancora. Per qualche motivo la banshee ti ha risparmiato.”
    “Lei dov’è ora?”
    Paul fece un gesto con la mano.
    “Oltre, immagino. Ha terminato il suo compito qui sulla terra. È andata dove vanno gli spiriti dopo la morte. Paradiso? Inferno? Non ne ho idea. Chiamalo un po’ come pare a te. Oppure è tornata a proteggere la sua famiglia, sebbene non ne sia troppo convinto.”
    “Quanto tempo è passato?”
    “Tre giorni. La famiglia del fratello di Seoirse è tornata a casa. Non sono stati molto contenti di vedere in che stato avevamo ridotto la tavernetta. Sean, William e Owen sono andati via, dovevano tornare alle loro zone. Noi tre e Lily siamo rimasti per vedere quando e se ti saresti rimesso.”
    “Fantastico.” disse Brian, e per un po’ non aggiunse nulla. “E ora?”
    “Ora? Ora anche io e John andremo via. Seoirse credo vorrà stare un po’ con i suoi parenti. Tu devi rimetterti in sesto, anche se credo a questo punto non ci vorrà poi molto. Quindi andrai via con Lily e diventerai un Cacciatore, o almeno ci proverai.”
    Brian ci pensò. Sarebbe diventato un Cacciatore. Avrebbe affrontato ancora cose come quelle dell’altra sera. E ancora e ancora e ancora finché non gliene sarebbe venuta la nausea. Quindi avrebbe ricominciato da capo, e così via fino al giorno della sua morte. Gli tornò in mente qualcosa. Qualcosa che aveva dimenticato.
    “Beh, adesso vorrai riposare, immagino. Non preoccuparti, fai come se fossi a casa tua. Io e John togliamo il disturbo.” disse Seoirse mettendo una mano sulla spalla dell’altro.
    “Sì. È tardi per me. Ho molto strada da fare per ritornare nell’Ulster. Ci vediamo, Paul. Brian, buona fortuna.”
    Fecero entrambi un cenno con il capo e uscirono dalla stanza.
    Rimasero Brian e Paul da soli.
    “C’è qualcosa che vuoi dirmi?” domandò Paul.
    “Mhm... perché la banshee mi ha seguito? Perché il sacrificio di sangue non l’ha placata?”
    “Credo che tu lo sappia meglio di me. Io ho solo delle teorie. Tu mi puoi dare le conferme.”
    “Era la madre del ragazzo che ho ucciso.”
    Paul chinò il capo.
    “È quello che sospettavo. Sappi, Brian, che le banshee sono gli spiriti di donne che rinunciano alla pace dopo la morte per vegliare in eterno sulle sorti di una famiglia. Si tratta di un sacrificio enorme che pochissime persone sono disposte a compiere. Al giorno d’oggi, la nascita di una banshee è un episodio rarissimo. Tu hai avuto la sfortuna di incontrare e uccidere, per sbaglio, il figlio di una banshee. Lily aveva scoperto che il ragazzo era orfano di madre fin dall’infanzia. In genere le banshee proteggono i discendenti dei discendenti di quelli che furono i loro parenti. Non sentono dei veri legami con loro. Per questo per placarle basta l’offerta del sangue. È più una questione d’onore. Però questa banshee in particolare provava per il suo protetto un affetto che era quello di una madre per il proprio figlio. Per questo ha ucciso la tua famiglia, per farti provare lo stesso dolore che ha provato lei. Per questo non le è bastato il tuo sacrificio. Per questo ti ha seguito attraverso tutta l’Irlanda per ucciderti.”
    Tacque per un momento.
    “Ma alla fine ti ha risparmiato la vita.”
    Brian non disse nulla.
    “E credo che ti abbia anche rivelato il perché.”
    Brian rimase in silenzio.
    Paul sospirò.
    “Non devi sentirti in dovere di parlarne con me. Anzi, non sei obbligato a parlarne con nessuno. Ma immagino che sia un peso che andrebbe condiviso. In ogni caso, ora ti lascio. Devi riposare. Più tardi ti porteremo qualcosa da mangiare.”
    Si alzò anche lui e si avviò verso la porta.
    Afferrò la maniglia e fece per aprire.
    “Ha detto...”
    Paul si immobilizzò. Brian concluse la frase.
    “...ha detto che la morte non era abbastanza. Che io meritavo una punizione peggiore per il mio crimine. Ha detto che le avevo semplificato il compito. Ha detto che mi ero già scelto da me un destino molto peggiore della morte.”
    Paul non si voltò nemmeno a guardarlo.
    “Ha detto bene. Tu hai scelto. Buon riposo, Brian.”
    Uscì dalla stanza e richiuse la porta alle sue spalle.
     
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  11. primb_halliwell
     
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    sei bravo finalmente un'altro maschio complimenti bella storia :)
     
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  12. sahany09
     
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    Hunter !!!!! Bentornato !!!!
    Non sapevo più che fine avessi fatto!!!!
    Aspettavo il famoso 3o capitolo.
    Tanto di cappello!
    Complimenti. Sai creare bene sia le atmosfere che le scene di suspence. E scrivi da dio!
    Ma...la storia continua, vero?
    SPOILER (click to view)
    Ah, so cosa vuol dire portare avanti più progetti letterari in contemporanea....
     
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  13. Hunter 92
     
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    Tranquilli, la storia va avanti. Al momento devo solo trovare l'ispirazione giusta per iniziare a scrivere...
     
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  14. sahany09
     
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    Prenditi pure il tempo che vuoi, Hunter! Se il tempo ti permette di scrivere come stai dimostrando di fare.
     
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  15. dani61
     
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    Racconto stupendo e scritto davvero magistralmente - spero anch'io - e tanto - in un seguito!!!
     
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14 replies since 14/6/2010, 13:04   317 views
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