A occhi aperti

Fanfiction a puntate di Cassandra Phoenix Nova

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  1. Cassandra Phoenix Nova
     
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    Titolo: A occhi aperti.
    Autore: Cassandra Phoenix Nova
    Fandom: Supernatural
    Serie presenti: SPN e qualcuno vedrà un'allusione a "Lost" ma se l'ha imparato a memoria, come me.
    Timeline: fine 2010 - inizio 2011
    Spoilers: 5a e 6a stagione.
    Personaggi presenti: Castiel, Eustacia Claire Smith, Sitael, Robert Stevenson Bobby Singer.
    Descrizione/trama:
    Un pericoloso serial killer minaccia persone molto speciali, l'unico che ne sa qualcosa è un Angelo e si è rivolto ad una donna qualunque, Eustacia.
    Una poliziotta ed un Angelo: simili ed infinitamente diversi.
    Note: La fanfiction non ha scopo di lucro. I personaggi di "Supernatural" appartegono ai rispettivi ideatori e detentori di Copyright. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente causale.

    Doverose premesse:

    - L'arco narrativo della fanfiction è collocato durante la sesta stagione, inoltre ho l'abitudine di scrivere delle side-story per approfondire i personaggi originali ed i loro rapporti con quelli del Canon.

    - Il personaggio originale è principalmente legato a Castiel, non conosce Dean e Sam. Sa quanto Castiel è disposto a rivelare su di loro, non molto a conti fatti.

    - Il personaggio principale è una donna, non è una Cacciatrice, non è un Angelo, non è un Demone e neanche un ibrido fra questi. Ho cercato di renderla reale, quindi è solo in virtù della sua pazienza ed onestà che entra in contatto con un Angelo, ma non è affatto perfetta perché il limite è proprio l'indulgenza che manifesta. Quando la descrivo potrà sembrare troppo docile, troppo accomodante ed è voluto, un modo per renderla Umana. Eustacia Claire significa 'Giustizia Luminosa' o 'Giustizia di Luce'.

    - L'angelo Sitael esiste nella mitologia ebraica/cristiana: è un Serafino, il suo nome significa "Deus Spes" ovvero "Dio di Speranza".

    - Ho fatto anche il cast, sto lavorando su un video con i credits. Non è che sia nota essenziale, però mi andava di scriverlo. In genere, alla fine di una storia sono solita mettere la Colonna Sonora perché... Perché sì. -_-


    - Il fandom di Lost è incluso, ma in questa storia vi si farà un'allusione e non è essenziale alla trama, quindi potevo anche non scriverlo. -_-

    I




    Lawrence Avenue. New York City. Stato di New York.


    La detective Eustacia Smith era davanti ad una villetta della Lawrence Avenue . Era una donna minuta, dal fisico asciutto, il viso aveva i lineamenti regolari, gli occhi erano azzurri ed i capelli castani sfioravano le scapole. Indossava un cappotto blu che la copriva sino ai polpacci, un paio di pantaloni neri e delle scarpe del medesimo colore dalla punta arrotondata, portava dei guanti di lana ed una sciarpa le proteggeva la gola dal rigido clima invernale. Eustacia rimase immobile, guardò attentamente la porta di legno con una targhetta in ottone: "G. Kaine'" era scritto in lettere nere. Soppesò l'idea di suonare il campanello, un bottoncino nero sullo stipite bianco della facciata, di estrarre il distintivo ed inventarsi una scusa plausibile per presentarsi all'inquilino. Non la mise in pratica, ripercorse il vialetto con calma, una nuvola di condensa le uscì dalle labbra socchiuse.
    Un uomo la fronteggiò a ridosso dell'incrocio, la superava in altezza di oltre due spanne e la fissava pensoso.
    «Buongiorno.» esordì, aveva la voce profonda, bassa talmente calma da sembrare impersonale: «Cos'ha detto?»
    Eustacia si fermò a pochi passi da lui, tre passanti la superarono e non appena la luce verde del semaforo prese a lampeggiare si dileguarono verso la stazione della metropolitana. Erano rimasti soli.
    «Buongiorno a te.» ricambiò Eustacia, il tono gentile quanto il sorriso che rivolgeva all'interlocutore: «Nulla.» spiegò con semplicità: «Era tutto tranquillo, sarebbe stato inutile bussare per accertarsene».
    Lui affondò le mani nelle tasche dell'impermeabile beige, la camicia intonsa aveva il colletto sbottonato, il nodo della cravatta era allentato nonostante ciò il suo portamento era elegante. Aveva circa trent'anni, gli occhi blu avevano lo sguardo malinconico, vigile, un lieve accenno di barba intorno alla bocca.
    «Accadrà fra tre giorni, lo sai,» disse perplesso lui: «Devi metterlo in guardia e proteggerlo, ora».
    Eustacia sollevò le braccia in un gesto di resa: «Questo non è il mio lavoro, Castiel.» sospirò, scosse la testa e si accostò al semaforo; il suo comportamento era affettuoso in netto contrasto con la risolutezza di lui.
    «Puoi salvare una vita.» ribatté convinto: «Ti do l'opportunità di evitare un'ingiustizia e non fai niente?» domandò esasperato.
    «Io sono un poliziotto, se gli parlassi a quel modo, se gli portassi il tuo messaggio,» replicò lei: «Mi sbatterebbe fuori di casa, non avrebbe tutti i torti. Prova ad avvisarlo: a te darà retta»
    «Grazie del consiglio, Stacy.» la rimbrottò: «Ho proprio bisogno della tua sconfinata saggezza. Credi che mi sarei rivolto a te, se avessi avuto scelta?».
    Eustacia non obiettò né indugiò su di lui, non era in collera: era umiliata da quelle parole gelide; sarebbe stato facile cedere alla richiesta ma un sussulto d'orgoglio le impedì persino di protrarre la conversazione: «È tardi.» mormorò.
    Castiel indietreggiò, la guardò attraversare la strada, non la seguì conscio di quanto lei si sentisse inadeguata alla situazione e ferita da un rimprovero che non meritava; se Eustacia fosse stata empatica o simile ai suoi fratelli Castiel non avrebbe faticato a rassicurarla, a mostrarle il proprio pentimento, ma ciò non era possibile e lui la lasciò andare via.
    Non si voltò, si convinse di essere in ritardo e di dover raggiungere il 70° Distretto quanto prima, sdegnò i mezzi pubblici per concedersi una lunga passeggiata, sicuramente Castiel avrebbe commentato l'incoerenza fra il proposito e la decisione ma lui era svanito. Ispirò ed ispirò, l'aria le ghermì i polmoni con artigli di ghiaccio, incrociò le braccia sotto il seno e strinse i pugni, aveva la testa abbassata eppure non guardava l'asfalto, contrasse appena la mascella, la collera scivolò via con il trascorrere dei minuti.
    Era una giornata plumbea quanto le nubi che il vento sospingeva nel cielo; Castiel l'aveva svegliata alle cinque di mattino. Aveva provato a chiamarla gentilmente, aveva scostato la tenda della camera da letto, lei si era portata la trapunta bianca sin sotto il naso ed aveva tenuto gli occhi ostinatamente chiusi.
    «Stacy.» la voce di Castiel si era alzata impercettibilmente, il tono aveva mantenuto una sfumatura dolce o così l'aveva percepita: «Sono io».
    Eustacia aveva sbadigliato, aveva distinto una figura maschile accanto al comodino ed aveva bofonchiato un saluto.
    «Buongiorno. Mi serve il tuo aiuto.» non le aveva dato il tempo di scacciare i sogni dalla mente, in piedi come un soldato si era limitato a guardarla con compassione: «Riposavi.» e non era stata una domanda bensì una considerazione.
    «Da quattro ore.» aveva precisato lei, si era levata a sedere: «E devo andare in bagno».
    «Vuoi che aspetti?»
    Eustacia non era riuscita a carpire il profondo significato del celeste quesito: «Sì, sarei troppo a disagio per...» aveva risposto ironica, lui era riuscito a zittirla pronunciando il nome di Gerald Kaine: «È in pericolo» aveva aggiunto.
    «Dimmi.» aveva replicato laconica.
    Kaine sarebbe stato ucciso. Il suo assassino era pronto a colpire. Castiel non aveva detto altro, non una parola sull'identità del criminale o sulle motivazioni del gesto, le aveva chiesto di controllare l'abitazione di Gerald.
    Eustacia Claire Smith era una poliziotta, aveva dei doveri a cui non si poteva sottrarre per indolenza.
    «Le Giovani Marmotte idealiste finiscono male: uccise o corrotte.» l'aveva canzonata il tenente Colman, non ricordava precisamente l'occasione ma le sue parole erano state una doccia fredda.

    ****



    L'edificio era una struttura funzionale e sgraziata; un paio di auto della polizia parcheggiarono mentre Eustacia si avviava ai tre gradini che la separavano dalla soglia.
    «Ti piace mettere le manette alle ragazze, vero?» domandò giovane alle spalle di Smith, indossava una gonna di pelle ed una camicetta sbottonata sul seno nudo.
    «Non sei il mio tipo, bambolina.» rispose l'agente, un uomo tarchiato incapace di trattenere gli sbadigli.
    Eustacia tenne aperta la porta di legno: «Ha finito il turno di notte?» chiese sorridente, ignorò la donna che ancora imprecava contro il poliziotto.
    «Il gran finale è stato con la signorina: era in vena di correre. Giusto, dolcezza?» sbuffò lui stanco.
    «E tu volevi corrermi dietro.» disse lei.
    Eustacia cedette il passo, esitò per una manciata di secondi o poco più: sentì una delicata sensazione di calore, che pur non potendosi definire umano sprigionava un affetto sincero, puro. Le sembrò d'essere circondata da un bagliore dorato, accarezzata da dita invisibili che scioglievano i dispiaceri come fossero stati dei nodi, ogni sua angoscia fu allontanata, Eustacia avvertì la serenità e la pace che soltanto Castiel sapeva infonderle, che le donava quando la notte era buia, lunga e solitaria. Quando era seduta sul divano, con una tazza di tè fra le dita appena ripulite dal sangue di qualche vittima senza nome, quando la sua mente si estraniava nella preghiera.
    Quando ringraziava Dio per averle dato una famiglia da amare, un compito da svolgere, un modo per aiutare il prossimo ed evitare il male, allora, Castiel l'abbracciava, era una definizione della ragazza perché non gli aveva chiesto spiegazioni. In quei momenti, lo sentiva nitidamente per ciò che era: un Angelo del Signore.
     
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  2. John7776
     
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    Wow devo dire sono molto estasiato da questa storia molto fiducioso complimenti !!!
     
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  3. Cassandra Phoenix Nova
     
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    Ti ringrazio moltissimo, gli altri capitoli li invio piano perché aggiorno a scadenze secolari e sto scrivendo il quarto.
    Da lurker ho letto qualche storia, ma non avevo lasciato commenti. Adesso rimedierò.
     
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  4. John7776
     
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    ma davvero molto interessante hai avuto un'idea fantastica assomiglia a una di quelle serie dove la reltà si mischia al fantasy! non ti preoccupare per i commenti :)
     
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  5. {William Angelus Halliwell}
     
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    Sei bravissima, descrivi al meglio ogni situazione... Di LOST ho un dubbio, credo di aver capito qualcosa ma non ne sarei sicuro!

    CITAZIONE
    - Ho fatto anche il cast, sto lavorando su un video con i credits. Non è che sia nota essenziale, però mi andava di scriverlo. In genere, alla fine di una storia sono solita mettere la Colonna Sonora perché... Perché sì. -_-

    Anche io lavoro ai video delle mie FF, adoro farlo! ;D Quando ci mostrerai questi credits?!
     
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  6. bloodyjane
     
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    Wow, mi hai incuriosito parecchio con questo tuo primo capitolo, non sono molte le FF in cui la protagonista non ha una relazione diretta con la caccia, e poi Stacy sembra davvero una donna tosta, complimenti!!!
     
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  7. Cassandra Phoenix Nova
     
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    Grazie ancora, non è la sede migliore per fare gli auguri di felice 2011 ma non importa: buon anno! :happy:

    CITAZIONE
    Anche io lavoro ai video delle mie FF, adoro farlo! ;D Quando ci mostrerai questi credits?!

    Credo dopo il 1 Gennaio. :unsure:
    Adesso, onestamente, ho solamente il cast (es: Castiel - Misha Collins).
    Mi entusiasma moltissimo creare il cast, scegliere la colonna sonora, mettere citazioni qua e là nei dialoghi.
    È che faccio pena con la grafica, le mie locandine spaventano i bambini!

    CITAZIONE
    ma davvero molto interessante hai avuto un'idea fantastica assomiglia a una di quelle serie dove la reltà si mischia al fantasy! non ti preoccupare per i commenti

    L'idea è un po' quella: Stacy è legata alle cose più 'terrene', non che siano meno cruente o semplici però hanno una matrice umana. D'altra parte, Stacy non pare ardere dal desiderio di misurarsi con demoni & Co. Anche perché parte in spaventoso svantaggio.
    Circa commenti: okay, tanto non è che abbia chissà che commenti profondi...

    CITAZIONE
    Sei bravissima, descrivi al meglio ogni situazione... Di LOST ho un dubbio, credo di aver capito qualcosa ma non ne sarei sicuro!

    -> questa sono io che leggo il commento.
    In questa storia, l'influenza di 'Lost' non si intreccia con la trama e non è un cross-over, però Stacy è legata all'Isola, con tutto ciò che può comportare. Non era fra naufraghi, per sua grande fortuna.
     
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  8. {William Angelus Halliwell}
     
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    Aspetterò i credits e ovviamente sono curiosissimo di vedere questo intreccio con LOST! Chissà, chissà...
     
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  9. Cassandra Phoenix Nova
     
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    Quando l'anno comincia bene, ho poco tempo per vegetare impegnarmi davanti al PC.

    La prima canzone che ho associato a questa fanfiction è 'Bittersweet ' dei Within Temptation ed una versione strumentale di 'The Swang Song'.

    Within Temptation -Bittersweet se la voleste ascolatare.

    Ho diviso i personaggi, tranne qualcuno che presento poi (altrimenti rivelo la trama), per 'luogo': quelli del Distretto, i vari parenti/amici.
    Se non avete visto la 5a e la 6a stagione non cliccate su Bobby e Claire, ma non leggete manco la ff che ha gli spoiler (indica gli avvertimenti). ^_^

    Natalie Dormer _ _ _ Eustacia Claire Smith.
    Misha Collins _ _ _ Castiel e Jimmy Novak.

    70° Distretto:

    Kyra Sedgwick _ _ _ Capitano Nerys Bennett
    Anthony Starke _ _ _ Detective Josiah Gordon.
    A.J. Cook _ _ _ Sergente Hazel Shapard.
    Simon Woods _ _ _ Agente Keith Chandler.
    J.K. Simmons _ _ _ Christian Thorne.

    Altri personaggi:
    Jim Beaver _ _ _ Robert "Bobby" Steven Singer.
    Gemma Ward _ _ _ Sitael e Igraine Donnelly.
    Sydney Imbeau _ _ _ Claire Novak.
    Alexis Bledel _ _ _ Penelope Denise Smith.
    Polly Walker _ _ _ Daphne Goodfellow Smith.

    Ed ora...

    II



    Christian Thorne socchiuse gli occhi per una manciata di secondi: la luce cruda del monitor gli faceva rimpiangere la macchina da scrivere, eppure era lungi dal considerarsi vecchio. Era il segretario del 70° Distretto da quindici anni, un impiegato civile che non sentiva la necessità di indossare la divisa per farsi rispettare; il fisico era prestante, giovanile per essere un uomo di mezz'età, i capelli erano grigi, radi mentre gli occhi scuri conservavano uno sguardo vigile, sardonico quanto le sue parole; benché si sforzasse di ammorbidirne il tono la sua era una voce stentorea da istruttore militare. La sua postazione era a ridosso dell'ufficio del Capitano, nell'ampio locale al quinto piano che ospitava le otto scrivanie della squadra, della ristretta cerchia di agenti di cui Eustacia faceva parte.
    «Detective Smith.» disse Thorne, una constatazione che addolcì con un sorriso diretto alla donna.
    Eustacia aveva il respiro affannoso, dopo aver salito di corsa le scale; abbozzò un sorriso, si portò una mano alla fronte: «Sono in ritardo.» si lamentò.
    «No, non lo sei.» rispose Christian in un blando, paterno rimprovero: «Il capo non si è vista, il tuo collega è andato a rifarsi il trucco. Vuoi un caffè?»
    Smith sollevò lo sguardo al soffitto: «Certo, immagino che tocchi a me prepararlo, vero?» sbuffò.
    «Sei tu lo sbirro.» ribatté ironico Thorne.
    La sala ristoro era simile ad uno sgabuzzino delle scope: era ugualmente stretta, angusta e priva di finestre; nel lavabo si potevano scorgere le tazze lasciate durante il turno di notte e pochi piatti con i rimasugli dello spuntino. Eustacia fece scivolare la borsetta sul tavolino di linoleum bianco e poi sistemò il cappotto su una sedia. Pensò di chiamare Castiel al cellulare, di fare qualche stupida affermazione sulla richiesta di aiuto, forse c'era un motivo che l'aveva spinto a rivolgersi a lei, forse doveva incoraggiarlo a parlare.
    «Abbiamo un caso.» disse Josiah Gordon, non spese tempo a salutarla.
    Eustacia non assentì, non con la prontezza sufficiente per zittirlo.
    «Quel tipo non mi piace.» commentò l'uomo, con apparente noncuranza. Il detective Gordon aveva dieci anni più della collega, aveva un vita disordinata ed un'onestà adamantina: non era riuscito a fare carriera, era sicuro che non l'avrebbe fatta Eustacia.
    «Non lo conosci.» replicò prontamente lei, osservò le fiammelle blu appannare il bollitore d'acciaio.
    «Appunto.» obiettò Gordon, sedette e proseguì: «Non viene a prenderti, neanche se sei esausta.» non distolse gli occhi bruni da lei sino a quando non la vide incrociare le braccia sotto il seno, la sua voce era diventata bassa e sottile: «Non l'ho mai chiesto.» si giustificò.
    «L'artificiere era premuroso.» Josiah volse lo sguardo verso la porta spalancata: «Voleva conoscerci, voleva far parte della tua vita. Lui cosa fa per te?»
    «Josh, basta.» lo avvertì seccata la ragazza.
    «Ha paura che qualcuno di noi lo riconosca?» insistette lui.
    Eustacia scosse la testa: «Piantala.» tagliò corto: «Parlami del caso.» si sforzò di apparire calma, sperò che Gordon si persuadesse a cambiare argomento.
    «Un buon argomento mentre bevo il caffè, Stacy.» sbottò Josiah.

    ****



    Eustacia aveva ventinove anni, era stata promossa a detective da sedici mesi.
    Era sicura che gli Angeli parlassero solamente ai meritevoli, a coloro che incarnassero l'ideale di Bontà e Giustizia che era solita collegare a Dio. Lei era una poliziotta: la sua esistenza era lontana dalle alte sfere celesti, eppure aveva conosciuto Castiel.
    Era accaduto una notte di Giugno, mentre rincasava al volante della sua Chevrolet Matiz . Era stata a casa della sorella, Penelope, l'aveva aiutata a spostare il letto a due piazze, ad appendere la laurea in Storia sopra il caminetto. Aveva declinato l'invito di Penelope, si era dileguata al tramonto, con la scusa del lavoro.
    La stanchezza era uno spasmo nervoso alla base della schiena, era un senso di nausea nel vedere l'asfalto sfrecciare davanti a sé, la musica non era riuscita a distrarla. I fari delle auto avevano illuminato una figura: un uomo alto, con un soprabito sformato che era immobile sul ciglio della strada. Eustacia aveva cercato di ignorare la presenza dello sconosciuto, aveva ripetuto a se stessa di non essere ingenua, di non cacciarsi nei guai. Lo aveva quasi mormorato; i panni del Buon Samaritano le stavano comodi era solita canzonarla la sorella, perciò aveva rallentato gradualmente sino ad accostare a due metri da lui. Aveva spento l'autoradio, quindi aveva poggiato il distintivo sul parabrezza, così che fosse visibile.
    Lui si era voltato, i movimenti le erano parsi rigidi, legnosi. Eustacia aveva abbassato il finestrino di due spanne ed abbozzato un sorriso cordiale verso la sagoma nella penombra.
    «Buonasera.» aveva esordito Eustacia; nello sporgere il busto, aveva sentito una fitta colpirle le spalle, aveva deglutito.
    «Buona sera?» era stata una domanda, non era stata una replica di sorpresa: le aveva chiesto se era una serata piacevole.
    «Era un... Saluto, mi spiace, non volevo infastidirla.» si era giustificata impacciata. Aveva distolto lo sguardo da lui.
    «Buonasera».
    La ragazza aveva dischiuso le labbra, non era riuscita ad articolare un suono che esprimesse degnamente lo stupore per l'assurdo dialogo.
    «Cosa posso fare per aiutarla?» aveva detto, invece.
    Castiel si era avvicinato all'auto ed i suoi occhi blu l'avevano spiata, aveva provato imbarazzo, come davanti ad un approccio non richiesto. L'aveva fissato senza desiderarlo, non se ne era pentita: la sconcertante gentilezza nello sguardo di lui era stata sufficiente da far accantonare l'idea che fosse un delinquente.
    Era stata sicura che non le avrebbe fatto del male, che non aveva desiderato essere invadente, era persino dispiaciuto del dolore che il movimento innaturale le aveva causato ma non era riuscito a comunicarlo.
    «Sono il detective Smith del 70° Distretto di New York.» si era presentata, il tono era divenuto formale: «Questa non è la mia giurisdizione, ma dica pure».
    Il tenente Colman le aveva insegnato ad anteporre il proprio grado al nome, di mostrare i documenti alla prima occasione al fine di guadagnarsi la fiducia ed il rispetto degli estranei, Eustacia l'aveva ritenuto il consiglio molto saggio.
    «Dean sta riposando.» aveva detto Castiel con semplicità disarmante: «Io aspetto».
    Eustacia si era concentrata sul volante, aveva tentato di aggrapparsi alla logica: «Capisco.» aveva mormorato: «Dean, comunque, sta bene?» aveva voluto sincerarsi.
    «Sì.» aveva risposto Castiel
    La situazione le era parsa surreale; Eustacia aveva sbattuto le palpebre, aveva creduto di essersi addormentata in autostrada, di essere incastrata fra le lamiere roventi on tanto airbag premuto sul naso. Aveva scosso la testa.
    «Va tutto bene, Eustacia, torna a casa.» Castiel aveva sorriso malinconico, non aveva una voce dolce, ma il suono era carezzevole e delicato. Eustacia non aveva avvertito la spossatezza mentale, la schiena si era rilassata, il suo corpo era stato sollevato da qualsiasi peso, l'animo era stato rasserenato, perché lui l'aveva chiamata per nome ma Eustacia non era spaventata.
    «Perché sai chi sono?» aveva bisbigliato Eustacia ammirata.
    «Io sono un Angelo del Signore.» aveva spiegato Castiel, come se fosse stato naturale credere ciecamente ad una simile presentazione.
    «Esagerato!» aveva esclamato divertita.

    ****



    Lo studio oculistico del dottor Ethan Sullivan era vicino ad un gioielleria, quando era giunta la denuncia di un furto, Thorne aveva domandato se l'indirizzo fosse corretto e se un criminale avesse sdegnato i diamanti per le lenti a contatto.
    «Gli serve un'oculista, sul serio.» Gordon si passò una mano sulla testa, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore: «Ero biondo.» affermò, rivolse un sorriso al posto del guidatore.
    Eustacia distolse lo sguardo dal parcheggio per portarlo sul compagno: «Cosa?» ripeté confusa.
    «Da bambino ma li tingevo, in Polizia mi hanno detto di smettere.» soggiunge lui, slacciò la cintura di sicurezza: «Adesso, li perdo pure quando tossisco».
    «Io non posso indossare i tacchi di dieci centimetri.» ribatté lei sarcastica. Aprì la portiera e scese.
    «Sei intrattabile.» concluse Josiah, la precedette all'entrata per far bella mostra con la giovane infermiera.
    «Io mi occupo della bionda.» le sussurrò sornione: «Tu pensa al vecchio.»
    Eustacia non si oppose, né parve contrariata; rimase nella sala d'aspetto: una stanza dalle pareti bianche con numerosi poltroncine foderate di stoffa rossa, un'abbiente asettico e luminoso, scrutò dalla finestra sulla sinistra della porta, vide la vetrina scintillante del negozio.
    Ethan aprì la porta in quel momento, era un uomo di media statura con indosso il camice bianco, l'aspetto ordinario e pulito dell'onesto lavoratore.
    I due agenti si presentarono, Sullivan li invitò nella seconda stanza: l'ambulatorio.
    La scrivania in noce era intatta, la laurea era incorniciata sulla parete e nella libreria non mancava un volume od un soprammobile. Il resto era scomparso.
    «Ho dovuto cancellare gli appuntamenti di stamattina, non so quando potrò riprendere le viste.» disse sconfortato il dottore: «Hanno preso il biomicroscopio, non so come siano riusciti a spostare anche le altre attrezzature, ma ci sono riusciti e hanno portato via le medicine, il ricettario, non hanno lasciato neanche un batuffolo di cotone!»
    Eustacia si accigliò, notò che Gordon stava appuntando qualcosa sul taccuino e prese la parola: «Quando si è accorto del furto?»
    «Oggi, ero arrivato alle sette e mezza.» spiegò Sullivan: «Non volevo crederci: non avevo più nulla».
    «Le cartelle cliniche dei pazienti?» domandò Gordon.
    Ethan si strinse nelle spalle: «Sono al loro posto.» rispose e parve sinceramente sollevato: «Sono in uno schedario, nel retro, ho dato la chiave solo alla signorina Reed, l'infermiera».
    «Non c'è stato scasso...» azzardò Josiah.
    «So dove vuole arrivare.» lo fermò piccato Sullivan: «Non avevo ragione di inscenare un furto, ho degli ottimi guadagni e posso provarlo. La mia attività era remunerativa, la mia assicurazione ha tempi lunghi. Mi creda, questo non era il modo migliore di fare soldi».
    Eustacia annuì comprensiva: «Quanto possono valere i macchinari?» si informò.
    «Migliaia di dollari.» replicò Ethan: «Il prezzo è relativo, perché senza una preparazione adeguata, sono inutili».
    «Il mercato dei delinquenti non ha certi problemi.» disse Gordon.
    Sullivan porse un foglio ad Eustacia: «Ho stampato l'elenco degli oggetti mancanti.» sospirò: «Hanno lasciato il computer, ma hanno preso il resto. È strano, perché mi avevano già preso il ricettario un paio di volte, però gli strumenti sono scomodi da trasportare».
    «Questa zona non è trafficata.» Eustacia gli sorrise: «Possono aver caricato tutto, ma lei è certo di non avere un'idea?»
    Ethan Sullivan prese tempo, osservò gli spazi vuoti: «Sapevano come era fatto uno studio, sapevano cosa avrebbero trovato: sono medici» asserì convinto.
     
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  10. John7776
     
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    Interessantissimo capitolo...continua così...molto scorrevole e soprattutto molto ben scritto complimenti!!!
     
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  11. bloodyjane
     
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    Complimenti, il primo incontro di Stacy e Cass è... diciamo esilerante, è proprio da lui fare questi discorsi che, per gli essere umani, non hanno né capo né coda, e complimenti anche per la scelta delle canzoni e dei personaggi (Natalie Dormer me la ricordao nei Tudors, in cui era una fantastica Anna Bolena).
     
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  12. Cassandra Phoenix Nova
     
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    Grazie mille per i commenti!
    Ho visto la Dormer proprio ne 'The Tudors' e la sua Anna è stata fra i personaggi che ho amato di più, lei è un'attrice interessante ed ha un viso molto espressivo.

    Cas ha tutte le attenuanti possibili, visto che non è propriamente umano e quindi fa domande inopportune o dà per scontato che non vi siano obiezioni circa la sua natura.
     
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  13. Cassandra Phoenix Nova
     
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    III



    Il furto allo studio medico era quanto meno curioso: c'era qualcosa di buffo ed inspiegabile nella sparizione delle attrezzature oculistiche; Josiah tentò di dar seguito alla labile traccia della frode assicurativa ma fu costretto ad abbandonarla all'ora di pranzo, quando le indagini finanziarie rivelarono la manifesta onestà del dottor Sullivan, Eustacia si concentrò sulla qualità degli strumenti, sul loro possibile valore al mercato nero; il furto le parve un rischio eccessivo per un bottino ingombrante, la cui domanda era praticamente nulla. Inoltrò un'ultima email e si rilassò sulla sedia da ufficio rivestita di stoffa verde, era un regalo dei genitori per la sua promozione, solamente il Capitano Nerys Bennett poteva vantare una simile comodità.
    «Hai fame?» Josiah ruppe il silenzio per primo, la domanda aveva una sfumatura amichevole persino premurosa, ma tenne la testa bassa sulla tastiera del computer e non sollevò lo sguardo sulla collega.
    Eustacia si strinse nelle spalle: «Sì, ci prendiamo una pausa?» disse, lo scorse annuire lievemente: «Faccio una telefonata, allora.» aggiunse.
    «Hai retto quattro ore, sei una dura.» la canzonò Gordon.
    La ragazza si alzò, prese la borsetta e si dileguò nella toilette delle signore, non si voltò ma fu sicura che Josiah la stesse fissando con un sorriso compiaciuto. Riservò un cenno di saluto a Thorne, il chiasso non scemò nel corridoio, i rumori provenienti dagli altri piani si diffondevano attraverso la tromba delle scale.
    Il bagno era un locale tinteggiato di bianco, ordinato e pulito: c'erano sei porte di legno socchiuse, un lavandino ampio sormontato da uno specchio rettangolare, senza cornice; Eustacia estrasse il telefono cellulare si accertò di non aver ricevuto chiamate, c'era un messaggio della sorella a cui rispose. L'appetito fu sostituito dall'ansia, da un'emozione impastata di adrenalina che aveva provato soltanto da adolescente, scosse il capo, selezionò un nome dalla rubrica e premette un tasto. I primi squilli caddero nel silenzio, ogni secondo di attesa la umiliava, abbassò lo sguardo incapace di sostenere l'amarezza che traspariva dal suo riflesso.
    Eustacia non si accorse del trillo metallico alle sue spalle, il suono estraneo la sfiorò appena; il secondo squillo, al contrario, la colpì con la forza di uno schiaffo in pieno volto: sbatté le palpebre, iniziò a respirare con estenuante lentezza, incredula dischiuse le labbra ma non parlò. Castiel era alla sua sinistra, le braccia sfioravano le tasche del trench, lo sguardo era fisso sullo specchio.
    «Salve.» la voce di Castiel la raggiunse simile ad un boato, troppo mascolina per il luogo e del tutto inattesa.
    «Castiel?» Eustacia non riuscì a dire altro, interruppe la comunicazione e rimase con il cellulare a mezz'aria; desiderò stringerlo a sé, abbracciarlo con la dolcezza di un'amica, con lo slancio di un'innamorata ma non vi riuscì. Restò ad ascoltare i rumori oltre la porta chiusa, il traffico in strada, il lento scorrere dei secondi: «Sei arrabbiato con me?» la domanda era infantile, la pensò e la pronunciò nel medesimo istante, era troppo tesa per riflettere.
    «Io non sono mai arrabbiato con te.» disse lui, soffermò lo sguardo sulla giovane.
    Eustacia avrebbe regalato l'anima ad un qualsiasi demone, una delle creature da cui Castiel la metteva in guardia, pur di avere una confusa idea dei pensieri dell'Angelo ma non le era dato sapere nulla e si sentiva sciocca a domandare, presuntuosa a pretendere una spiegazione da un Messaggero del Signore. Attese, oramai era talmente abituata a pazientare da zittire la frustrazione persino a se stessa.
    «Devi parlare con Gerald Kaine.» aggiunse Castiel, proseguì a fissarla e benché avesse assunto un tono severo, non poté nascondere un'inclinazione apprensiva nella voce, un'indulgenza bonaria nello sguardo. Durò un attimo, lui chinò la testa mentre lei sospirava con teatralità: «È tutto?» lo punzecchiò esasperata: «Sei nel bagno delle donne per questo?»
    «Mi hai chiamato.» si giustificò lui senza battere ciglio, come se fosse perfettamente normale agire in quel modo.
    Eustacia sospirò, avrebbe potuto sprecare tempo ed energia a ribadire un concetto chiaro solamente nella sua testa, ma si sarebbe rivelato un gesto inutile o persino sgradito.
    «Io ci proverò.» si arrese lei, la voce divenne un sussurro come se provasse vergogna per la docilità dimostrata: «Potresti accompagnarmi...»
    «Complicherei le cose.» tagliò corto Castiel, si accigliò contrariato e sembrò perdersi nelle sue riflessioni.
    Eustacia non ebbe modo di chiedere delucidazioni: la porta si aprì e nel medesimo istante l'Angelo svanì senza alcun rumore.

    ***



    C'era una tavola calda davanti al 70° Distretto, un locale economico e semplice. Gli anziani proprietari, i coniugi Butler, sollevavano la serranda all'alba e chiudevano in tarda serata; non avevano mai subito una rapina e non c'era neanche un graffito a sporcare l'intonsa facciata dell'edificio. Il capitano Bennett aveva donato al signor Butler uno schermo al plasma che troneggiava dietro al bancone, veniva acceso per seguire le cronache sportive; c'erano sei tavolini tondi, il lucido pavimento era di un vezzoso color cipria e sulla parete alla sinistra dell'entrata, sotto ad una pesante croce, erano appesi i ritratti dei poliziotti morti in servizio.
    «Avete parlato?» domandò Josiah, bevve un sorso di birra prima di proseguire il pasto. Aveva ordinato bistecca al sangue e patatine per entrambi, non gli serviva chiedere conferma ad Eustacia.
    «Sì.» rispose lei, si concentrò sul piatto ed infilò la lama nella carne: «Perché ti interessa tanto?» soggiunse ironica.
    Josiah scosse appena la testa: «Sono vecchio, Stacy.» disse con teatralità: «Non ho i soldi per un'altra moglie, quindi mi limito a guardare gli altri».
    «Noi non stiamo insieme.» puntualizzò seccata lei.
    «Sembra l'opposto.» considerò Josiah ed aggiunse: «Come ha detto che si chiama?»
    «Non l'ho detto.» ribatté prontamente la donna: «Il suo nome è Cas.» mormorò a bassa voce, quasi con ritrosia.
    «Cas?» ripeté divertito Gordon: «Come uno di quegli idoli gay per ragazzine esagitate?»
    Smith ignorò la provocazione. Mangiò in silenzio per qualche minuto, guardò il vento scostare le foglie ingiallite oltre la vetrina.
    «Nevicherà.» osservò con noncuranza Josiah. Eustacia apprezzò quel tentativo di conversazione, conosceva abbastanza bene il carattere ombroso del collega e non scambiava il suo sarcasmo per insensibilità.
    «Il caso dell'oculista è strano.» esordì Eustacia, deglutì l'ultimo boccone: «La gioielleria ha un servizio di videosorveglianza, potremmo ricavare qualcosa dai filmati. Ti pare?» la domanda non era affatto retorica, Josiah aveva una maggiore esperienza e lei non era tipo da metterne in dubbio la competenza.
    «Sì.» acconsentì l'uomo: «La zona è piuttosto buia, perché uno dei lampioni è fulminato; l'ha detto l'infermiera. » sorrise, scostò il piatto vuoto: «Dovremmo avere il tipo di macchina usata per il furto.» concluse alternando lo sguardo da Eustacia al bancone: «Vuoi ingraziarti il gioielliere?»
    Eustacia respirò a fondo: «Non mi piace fare la ruffiana!»si lamentò querula.
    «È un peccato, perché ti riesce bene.» la zittì Gordon, il tono era scherzoso ma omise qualsiasi specificazione o rassicurazione, si alzò e pagò il conto.

    ***



    Le strade ed i tetti dei palazzi erano coperti da un velo candido, seduta alla propria scrivania Eustacia non si era accorta del nevischio che si posava placidamente sull'asfalto, mescolandosi con la polvere e la sporcizia. Era stata il sergente Shapard ad indicarle la finestra.
    «I bambini ne saranno entusiasti!» aveva commentato sorridente Hazel Shapard.
    Era stata la prima compagna di Eustacia ed era rimasta la sua migliore amica; era un'ottima investigatrice, una persona amabile, una madre affettuosa per i figli, Rebecca e James, ma per conciliare gli innumeri doveri aveva optato per un impiego d'ufficio. Eustacia era stata l'unica a non rimproverarle quella decisione.
    Era rincasata per cena, l'estenuante trattativa con il signor Fan si era protratta per buona parte del pomeriggio, si era arreso quando la detective aveva minacciato una visita nel retrobottega della gioielleria.
    «Va bene, si prenda la registrazione.» aveva detto il signor Fan: «Alle sette chiudo il negozio. Non rimango un minuto in più.» aveva spiegato.
    Il traffico congestionato aveva costretto Gordon e Smith a procrastinare l'incontro.
    «Domani, Stacy, andremo al cinema.» aveva sentenziato beffardo l'uomo. Aveva lasciato il collega alla stazione della metropolitana, in un batter d'occhio si era scoperta infreddolita, stanca ed affamata.
    L'appartamento che Eustacia aveva comprato era situato nel quartiere pattugliato dal 70°Distretto; era sito al terzo paio e benché non potesse vantare ampi locali, era in buono stato. Gli Smith si erano impegnati ad arredarlo, a tinteggiare le pareti, a cucire le tende bianche della camera da letto, a sistemare le tubature dell'acqua, a spostare la poltrona ereditata dalla nonna in soggiorno; era stata Daphne Smith a comprare il divano rivestito di stoffa bordeaux, era stato Arthur Smith a costruire il basso tavolino che reggeva la TV ed era stata Penelope Smith a scegliere la plafoniera del bagno, avevano lavorato un'intera estate. Eustacia amava quel posto, perché le apparteneva e perché vi sentiva l'affetto premuroso della famiglia, la solerzia mai invadente con cui era stata cresciuta.
    Era sera, i fiocchi di neve si posavo sulla balaustra del balcone che dal salotto si affacciava sulla strada. Eustacia stava sonnecchiando mentre le immagini del notiziario si facevano violente, era avvolta in una coperta di lana ed alcune ciocche sfuggivano ai denti stretti del fermaglio e le scivolano sul viso.
    «Salve, Stacy.» la voce di Castiel era bassa, un mormorio che la donna associò al brusio esterno; non vi badò, né l'Angelo cercò di attirarne l'attenzione. Fu per caso che Eustacia lo intravide alla propria destra: sedeva sulla poltrona, le mani congiunte all'altezza del grembo, la testa leggermente inclinata verso sinistra e la fronte aggrottata, lo sguardo era concentrato sullo schermo del televisore.
    Eustacia sobbalzò, represse un grido e quasi istintivamente portò la mano destra alla schiena dove assicurava l'arma d'ordinanza, sfiorò la flanella del pigiama e quel contatto la riportò al presente.
    «È da molto che sei qui?» domandò e non riuscì a nascondere un certo disagio.
    «No.» rispose Castiel, si era voltato dimentico del resto: «Non era mia intenzione spaventarti.» puntualizzò, come a volersi giustificare.
    Eustacia annuì, scostò la coperta ma non si mosse: «Potevi telefonare.» azzardò.
    «Non ero nelle condizioni di farlo.» ribatté Castiel.
    La donna si sporse verso il tavolinetto sul quale aveva poggiato il telecomando: «Hai esaurito la carica?» domandò con un sospiro.
    «Non ero in questa forma.» ammise con tranquillità l'Angelo.
    Non seppe cosa dire, era ben lungi dall'immaginare cosa lui provasse e sarebbe stato inutile indagare. Afferrò l'apparecchio, sollevò la testa e vide la TV, vide che i canali si succedevano freneticamente senza che i tasti venissero pigiati.
    «Ti hanno oscurato dei programmi.» commentò Castiel, non ricevendo alcuna replica proseguì: «Dean li fa attivare, basta chiederlo.» aggiunse, Eustacia non si pronunciò neanche allora: «Tu ne sai qualcosa?»
    «Sono canali a pagamento, che genere cerchi?» chiese di rimando.
    «Tu che genere hai?» disse Castiel.
    «Un paio di canali di news.» elencò compita Eustacia: «Sul trentaquattro ci sono le prime visioni, sul cinquanta c'è la musica e lo stesso sul quaranta e sul ventidue. Dean, cos'ha?» si pentì immediatamente di tale imprudenza, suppose la risposta e chiuse gli occhi.
    «Etero e gruppi».
    «Ecco.» sbottò Eustacia.
    La TV si spense, alla giovane bastò pensarlo perché ciò avvenisse, scostò lo sguardo su di lui.
    «Parlerò con Kaine: è una promessa.» disse con dolcezza, l' insopprimibile tenerezza nei confronti di Castiel.
    «Lo so.» replicò Castiel: «Ho una visione migliore degli eventi, sto cercando di aggiustare alcune cose... Non le solite, mi riferisco a Kaine ed a ciò che seguirà.» fece una pausa. Eustacia si limitò ad ascoltare, non a comprendere ogni parola ma il significato del discorso, il motivo che portava Castiel a parlarne. Lui non era loquace, ma aveva la sensazione che si cercasse di mostrarsi il più aperto possibile con lei, che provasse ad analizzare la sua esistenza con diversi parametri ed essere umana non le impediva di vedere il tormento che lacerava il Messaggero di Dio. Eustacia restava accanto a lui sia che mormorasse frasi bizzarre, sia che si zittisse.
    «I particolari mi erano sfuggiti. È stata Sitael a notarli.» raccontò Castiel, le mani si portarono sui braccioli imbottiti della poltrona.
    «Sitael?» Eustacia si strinse nelle spalle: «Ero sicura che fosse altrove, che non fosse fra noi.» si schiarì la voce impacciata. Lo stesso imbarazzo da studentessa impreparata.
    «Sitael è una sorella.» spiegò Castiel ed assunse un atteggiamento condiscendente, come se Eustacia fosse una sorta di bambina da istruire: «Ha una grande conoscenza dell'Umanità, ma non cammina sulla Terra. Uriel non approvava la sua predilezione per voi, era convinto che si sarebbe ribellata e spingeva gli altri ad emarginarla. Adesso, ho capito che il suo è un temperamento mite, adatto alla diplomazia, mi aiuta anche se io non mi sarei mai esposto per lei. Sitael segue questa storia dagli albori, da prima che Kaine fosse in pericolo. » serrò la mascella, l'approfondimento gli sembrò sufficiente. Eustacia non pose obiezioni.
    «La causa andrebbe prevenuta e non i suoi effetti.» aggiunse Castiel.
    «Qual'è la causa?» lo interrogò lei.
    Castiel si alzò, camminò sino ad un quadro appeso sulla parete destra: ritraeva la famiglia Smith.
    «È la prima cosa che vedi rincasando.» non era un quesito, Castiel riusciva a ficcare il naso nella sua vita senza risultare sfacciato: «L'ha fatto Penelope che è sicura di non trasmettere niente con i disegni, ma quando lo guardi, ti senti amata.» si girò e la voce si fece seria, tesa: «Se lo perdessi?»
    «Non lo direi a Penny» sdrammatizzò Eustacia, un senso di angoscia le artigliò la bocca dello stomaco.
    «Se perdessi il loro amore?» la frase sembrò produrre un'eco che strinse il cuore di Eustacia in una morsa; cerco di di ispirare ed espirare con lentezza, socchiuse gli occhi.
    «Castiel.» sussurrò con una calma fittizia, sapeva di essere una bomba pronta ad esplodere: «Succederà qualcosa alla mia famiglia?»
    L'Angelo si accostò al divano, non si piegò ma le posò un mano sulla spalla e poi la ritrasse: «No.» disse con insolita delicatezza, con un timbro deciso ed allo stesso tempo rassicurante: «Non volevo che lo pensassi. Loro sono al sicuro. Io mi riferivo alle necessità umane: il sapere di essere amati, ad esempio. Gli Uomini non vogliono essere soli, tentano di essere qualcosa di più e forse con l'amore hanno questa certezza.» ipotizzò fra sé e sé.
    «Fai supposizioni ignoranti.» lo rimproverò Eustacia: «Non sei nato Uomo, non puoi credere di avere ogni risposta e di poter porre tutte le domande, Castiel.» si passò le mani sugli occhi, ebbe voglia di piangere ma si ricompose.
    «Se do quest'impressione, mi spiace.» disse e le parole di Castiel dissiparono la paura, la rabbia ed accentuarono il suo sopore.
    «Castiel.» Eustacia sbadigliò: «La causa?»
    «Non devi sapere altro.» sussurrò l'Angelo: «Riposati».
    «Non sono a letto» bofonchiò Eustacia, le palpebre divennero pesanti.
    «Ti ci porterò io.» concluse Castiel, posò l'indice ed il medio sulla sua testa, la vide accasciarsi sui guanciali; il respiro divenne regolare. L' Angelo pensò che Eustacia meritasse otto ore di sonno e di quiete; pensò che i suoi sogni dovessero essere piacevoli. E così fu.


    {Ora, qui ci sarebbe la prima side-story: è ambientata a Natale ed è presente Bobby, anzi è il suo primo incontro con Stacy. Credo lo aggiungerò come 'capitolo esterno'...}
     
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  14. John7776
     
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    wow devo dire molto affascinante ancora di più questo capitolo....merita eccome....la mia passione e curiosità crescono da capitolo a capitolo....complimenti!!!
     
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  15. bloodyjane
     
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    Complimenti, riesci a descrivere Cass benissimo, con le sue risposte enigmatiche, e il suo rapporto con Stacy è... decisamente particolare. Ora mi chiedo per quale motivo sia così importante salvare Kaine :mmm:
     
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17 replies since 30/12/2010, 19:29   341 views
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